Tutti noi milanesi sappiamo bene che a livello di gola tra Milano, Como e Lecco non cè un lago o limmenso cratere di un vulcano estinto, bensì la Brianza e il suo capoluogo Monza, ma per quanto sia verde e bella, produttiva e pugnace fatichiamo a prenderla sul serio come meta di piacere culinario. E sbagliamo. Milano dovrebbe prestare più attenzione al suo vicino e non pensare il più delle volte alle golosità della Franciacorta e delle Langhe, dellOltrepò e dei Laghi come ben dimostra un libro curato da Bellavite editore in Missaglia (Lecco), 039.9201174, bellavite.it, volume dal titolo chiarissimo: Brianza in cucina, «storia, tradizioni e ricette della gastronomia briantea», fatica curata dallistituto professionale alberghiero Ballerini di Seregno. Non solo: alle ricette e al sapore brianzolo, va abbinato il Vademecum del Goloso, stesso editore, curato da Nicola Fontana, gli «indirizzi ghiotti delle provincie di Como, Lecco, Monza e Brianza, Sondrio», un fatica importante perché le stelle in questarea scarseggiano e di conseguenza la domanda di bontà va stimolata anche attraverso queste iniziative.
Ha scritto Pier Giuseppe Penati, patron del ristorante Pierino Penati a Viganò: «Questopera mette in luce la lunga storia del cibo e della sua preparazione attraverso testimonianze ricavate con pazienza da varie documentazioni, tanto da riuscire uno strumento dalla molteplice valenza. La lettura di questo libro mi fa sentire orgoglioso di appartenere alla gente di Brianza». Una gente che si può specchiare in questa pubblicazione che «va oltre la ricetta, qualche cosa in più che una raccolta di ricette e di tecniche di cucina. È un tentativo di rileggere la storia di un popolo attraverso uno dei pochi elementi che ogni epoca e ogni civiltà ha avuto in comune con gli altri: la necessità di nutrirsi, che è poi diventata piacere della buona tavola».
E così ecco «un viaggio immaginario attraverso la Brianza del secolo scorso alla riscoperta delle tradizioni che a quel tempo venivano tramandate con religiosa riverenza di madre in figlia, non solo attraverso preziosi ricettari vergati a mano, ma anche, e soprattutto, con lesempio e lesperienza diretta sui fornelli». Il tutto preceduto da unavvertenza dobbligo perché, leggendo una ricetta, balza subito allocchio il fatto che le dosi sono per 12 persone (e non le canoniche 4). Il motivo? Sono piatti espressione di una cultura di sostanza, di quantità. Non solo: sono spesso pietanze per i momenti di festa, quando più amici e parenti si ritrovano tutti assieme.
Il viaggio si apre con una Breve storia del sistema produttivo brianteo tra Otto e Novecento, comprese le malattie che scandivano i tempi grami di decenni e decenni fa. Poi le leccornie. Tre capitoli: la cucina della cascina, quella delle trattorie e infine le delizie nel dì di festa.
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