Britannici, americani e tedeschi i più «assicurati»

Italiani, popolo di imprevidenti? A scorrere le statistiche dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico di cui fanno parte i 30 Paesi più industrializzati, parrebbe di sì. È vero, meno prudenti e avveduti rispetto ai britannici, agli statunitensi e ai tedeschi, tutti ben più assidui sottoscrittori di polizze d’assicurazione.
Soprattutto i primi, considerando che nel Regno Unito il rapporto tra i premi lordi e il Pil ha raggiunto nel 2003 il 16,6 per cento. A breve distanza, gli Stati Uniti con il 12,5% e la Germania con poco meno del 10 per cento, valore attorno al quale s’attesta la media europea. In Italia lo stesso indicatore è fissato all’8%, dopo aver messo a segno un recupero al raddoppio, dai 3,8 punti percentuali che sintetizzavano dieci anni prima il valore totale delle coperture assicurative. Sul fronte delle polizze per malattie e infortuni, il settore è influenzato dalle caratteristiche del sistema sanitario; così, non meraviglia se il più elevato rapporto premi/Pil, pari al 2,7%, si riscontra negli Stati Uniti, dove l’accesso ai servizi è garantito solo a determinate fasce della popolazione. Ma il ritardo dell’Italia trova solo parziale giustificazione: «Nei Paesi dove i sistemi sanitari nazionali sono più pervasivi - osservano all’Ania, l’associazione che riunisce le imprese assicuratrici - questo indice è inferiore all’1 per cento. La media Ue è dello 0,88%, però il divario con altri Paesi, simili per livelli di reddito, resta comunque piuttosto ampio». Ecco allora, agli opposti, Italia (0,36%) e Germania (1,63%), anche perché il sistema tedesco permette ai cittadini con redditi elevati di scegliere tra la copertura sanitaria pubblica e un’assicurazione privata. Concentrando l’analisi sui rami danni, con esclusione dell’Rc auto quasi ovunque obbligatoria per legge, emerge più netta la propensione ad assicurarsi di ciascun Paese.

«Capi classifica sono sempre gli anglosassoni (Usa e Regno Unito rispettivamente col 5,4% e il 5,3% del Pil), mentre il ritardo di sviluppo del mercato italiano, con indice a quota 1,3%, appare ancora più netto». Segnaliamo, però, che anche il Giappone presenta un indicatore analogo e come l’Italia è tra i Paesi più vecchi del mondo.

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