Brugnetti e Rubino nella 20 km di marcia

Ci vogliono provare anche loro. Si, le ragazze dell’atletica: farsi largo in quel mondo in rosa che sta abbagliando l’Italia. Ridacchiano. «Certo non sarà facile». Sottinteso: come in altri sport. Franco Arese ci metterebbe la firma. Ricorda che questo mondo è molto più vasto di altri. Basta parlare con i numeri. «Siamo più di 200 nazioni. A Osaka c’erano 197 paesi, 46 andati a medaglia, e ben 76 entrati in una finale. È vita dura». Ammette, lui un alfiere dello sport al maschile, che oggi le donne servono un bel «fatti più in là». L’Italia, per esempio, allinea la bravura della Di Martino, la grinta di Elisa Cusma che parte negli 800 metri per arrivare chissà dove( «dove mi porterà la forza della mia testa»), la bellezza fisica e sportiva di Libania Grenot, cubana naturalizzata che oggi parte nei 400 m. sperando di arrivare alla finale. «Sono la ragazza delle grandi sorprese. Ho la grinta dentro, voglio un tempo sotto i 50 secondi». Qui i muri sono muri, non muretti da costumi hi–tech.
Poi c’è Elisa Rigaudo: lei marcia, domani le tocca la 20 km, prima di buttarsi in un anno sabatico per fare un figlio. Spavalda, e forte del bronzo olimpico, entra nel campo dove gli uomini d’Italia hanno ancora i calzoni. C’è lo Schwazer d’oro che tira il gruppo. Oggi Ivano Brugnetti (nella foto), Giorgio Rubino e Jean Jacques Nkouloukidi andranno a caccia nella 20 km. La compagnia del tacco e punta è ancora l’unica che garantisca risultati d’alto rango. Non a caso nelle undici edizioni dei mondiali, la marcia ha raccolto più medaglie di tutti (12 delle quali 5 d’oro). Ancora una volta val la pena puntare su Brugnetti nel suo eterno gioco alla roulette russa. Gli avversari? Cinesi, russi, uno spagnolo? Macchè. «Devo battere Brugnetti Ivano. Ovvero la bestia che c’è in me». E che l’ha fatto sbattere contro la delusione.

Berlino lo attende, la porta di Brandeburgo incoronerà il vincitore: scenografia piena di fascino davanti ad un pubblico che dovrebbe essere da stadio. Anche se un ragazzino come Rubino avrebbe preferito l’ingresso all’Olympiastadion («Un momento che emoziona»). Ma è uno della generazione postmuro (di Berlino). Non capisce.RiSi

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