Lo spunto viene dai fatti di cronaca, ma la ricetta è originale, da applicare alla televisione di Stato. «A me non piace la censura, ma mi piacerebbe che in ogni trasmissione televisiva del servizio pubblico ci fosse il costo della trasmissione, il compenso allautore e il compenso ai giornalisti». Ma non basta. Il ministro alla Pubblica amministrazione sembra fare un riferimento al caso Report e alla copertura delle cause. I programmi della Rai dovrebbero riportare lo share delle puntate precedenti e «il numero di querele ricevute e per le quali sono state condannate». E questo perché, almeno per quanto riguarda la Rai, ci sono in ballo soldi pubblici. «Continuiamo a pagare noi i costi del risarcimento e questo non è giusto. Dobbiamo introdurre il principio della trasparenza come il Mastrolindo dellipocrisia. Io non permetto che un giornalista mi accusi di appartenere alla casta se poi guadagna dieci volte il mio stipendio. Tutto questo è imbarbarimento del Paese».
Loperazione trasparenza dovrebbe poi andare a fondo anche sulla proprietà dei media. Il mondo dellinformazione dovrebbe essere «tracciabile» e «trasparente» e ogni giornale dovrebbe pubblicare lammontare degli eventuali contributi pubblici, lassetto proprietario, gli eventuali conflitti di interessi, in modo che il lettore sappia che «leditore produce yogurt quando legge un articolo sullo yogurt». Paradossalmente Brunetta spiega che vuole in questo modo raccogliere la sfida della manifestazione della Fnsi e della Cgil. «Se vogliamo raccogliere la sfida della piazza, questa sfida va rivolta a tutti, ai giornali. Mi piacerebbe sapere quanti soldi riceve ogni giornale dallo Stato, la composizione della sua proprietà. Sapere, in maniera strutturale, se un giornale ha conflitti di interessi rispetto a ogni singolo articolo».
Brunetta (che ha confermato di non volere andare ad Annozero fino a quando ci sarà Vauro a fare le vignette) con la sua «tracciabilità» delle spese della Tv pubblica ha raccolto reazioni contrastanti. Nessuno ha avuto il coraggio di dire no alla pubblicazione degli stipendi dei conduttori. Una richiesta «legittima» per Giorgio Merlo, vicepresidente della commissione di vigilanza Rai e parlamentare del Pd, ma «nasconde una voglia irrefrenabile di normalizzazione e di controllo dellinformazione, ha ribadito.
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