Il bruto, il dandy, i cattivi: volti dell’odio anti-Cav

Il rancore di Di Pietro, gli scritti forbiti di Travaglio e le campagne di Repubblica: tra i crociati dell’antiberlusconismo si registrano non secondarie differenze. E un "bruto" come Antonio Di Pietro non abbassa i toni neanche subito dopo l’aggressione al premier

Il bruto, il dandy, i cattivi: volti dell’odio anti-Cav

Tra i crociati dell’antiberlusconismo si registrano non secondarie differenze. Un «bruto» come Antonio Di Pietro non abbassa i toni neanche subito dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi. Il «dandy» Marco Travaglio, mentre mantiene sul Fatto inalterato il livello d’insulti al premier e seguaci, sviluppa parallelamente una campagna vittimistica sull’attacco alla libertà di stampa di cui sarebbe oggetto. I «cattivi» della Repubblica piangiottano sugli attacchi «ingiustificabili» di Fabrizio Cicchitto ma correggono la linea, riportando perfino dichiarazioni berlusconiane con una qualche neutralità.
Di Pietro tiene insieme un’area del rancore a cui, tramite un vecchio leader dell’estremismo cigiellino, Maurizio Zipponi, cerca di dare un carattere anche «classista». Un coacervo di avventurieri capaci solo di una rozza protesta e di risentiti che non stanno insieme senza una costante esasperazione. Di Pietro non ha spazi di manovra se non ricatta il Pd, se non offre alle varie anime morte di quel partito, tipo Dario Franceschini e Walter Veltroni, terreni per differenziarsi da Pierluigi Bersani. Se non utilizza le elezioni regionali, quando il centrosinistra non può rinunciare a quel 4-6 per cento di voti che l’Italia dei Valori porta, per farsi spazio. La sua brutalità è inevitabile.
La posizione di Travaglio è in parte differente, pur essendo nella sostanza non più raffinato dell’ex pm, il suo successo è frutto anche di un rapporto con settori di intellettualità, insofferenti per il primitivismo dipietresco, con personaggi che un tempo erano in qualche modo nell’establishment come Furio Colombo, già letterato d’avanguardia e cocco di Gianni Agnelli, Antonio Padellaro, qualche secolo fa «promessa» del Corriere della Sera, fino a Gian Carlo Caselli, un tempo largamente influente nell’opinione pubblica. Lo stile simil-dandy di Travaglio (in realtà scadentemente centrato su giochettini da terza elementare sui nomi e i cognomi di chi attacca) riflette questa voglia di stare in società, impostagli in parte dalla «compagnia» e dal pubblico che vuole raggiungere con i suoi libri. Proprio queste caratteristiche gli impongono di fronte al caso aggressione Berlusconi, di cercare una via non solo di scontro, ma anche «presentabile» in società. Da qui la chiamata alle armi di presentabili (da Barbara Spinelli a Ezio Mauro a Lucia Annunziata) per «difendere» il suo diritto a insultare Berlusconi.
Rispetto agli altri «odiatori» La Repubblica ha un problema più complicato: non rappresenta posizioni marginali, bensì centrali. Con le sue «campagne» ha imposto all’opposizione di non cercare convergenze sulle riforme e preparato il clima a settori della magistratura per iniziative attivamente antiberlusconiane. L’area repubblican-debenedettiana, però, ha perso il controllo sul Pd e ha dato spazio a un troppo autonomo Pier Ferdinando Casini, con il risultato di indebolirsi politicamente. In parte Carlo De Benedetti ha cercato di rimediare sostenendo Francesco Rutelli e Bruno Tabacci in un’iniziativa che condizionasse Udc e Pd. Ma il clima creato dall’aggressione a Berlusconi ha indebolito ancora di più la posizione del quotidiano romano. Da qui il tentativo di rimediare al parziale isolamento con qualche ritirata.
In questo contesto la denuncia fatta in Parlamento da Cicchitto del ruolo politico del quotidiano di Largo Fochetti è stata decisiva. Certo sono comprensibili le preoccupazioni di chi teme si attenuino le funzioni da cane da guardia del potere della libera stampa e quindi chiede alla politica di non interferire con i contenuti dei giornali.

Ma non è «interferire», cogliere la funzione politica esercitata da un giornale con raccolte di firme, manovre internazionali, organizzazione di manifestazioni, interventi a gamba tesa nei congressi di partito (non votate chi non vuole rompere con Berlusconi) e campagne contro i giornali che non si allineano. Iniziative legittime, però «politiche». Che se nel luogo che discute degli indirizzi politici del Paese non sono affrontate, si rischia di trovarsi con uno «Zittamento» al posto del Parlamento.

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