Bullismo: va stroncato quello dei genitori

Caro Granzotto, nella discussione in corso con i lettori sul tema della scuola mi stupisco che non abbiate affrontato il problema grave del bullismo. Con la reintroduzione del voto in condotta (mio padre mi ripeteva sempre che ai suoi tempi per fatti molto gravi la sanzione era «l’espulsione da tutte le scuole di ogni ordine e grado del Regno») il fenomeno potrà forse essere posto sotto controllo, ma serve qualcosa di più se non vogliamo che lo sfascio diventi presto catastrofe.


Per stroncare il bullismo dei ragazzi occorre prima stroncare quello dei genitori, caro Romani. Perché il primo è alimentato dal secondo, dall’atteggiamento di molti (moltissimi) padri e madri che non perdono occasione per delegittimare il docente contestandogli il diritto-dovere di riprendere, di sgridare o di punire i propri figli. Che dunque crescono nell'indifferenza se non nel disprezzo del concetto di autorità e del suo fondamentale risvolto educativo nella formazione del buon cittadino. È la scomparsa dal lessico familiare e la rude contestazione in ambiente scolastico del verbo ubbidire e del suo imperativo, «ubbidisci!», che genera il bullismo e la visione anarchica dei rapporti sociali. Giorni fa, in un asilo estivo del Comune di Padova un bambino di cinque anni che s’era chiuso in una stanza e non voleva uscirne nonostante i ripetuti inviti (accompagnati dal classico: «Su, fai il bravo, ubbidisci») della maestra, quando finalmente ha aperto la porta s'è presa una sculacciata. Il marmocchio se n’è lamentato con la mamma e costei cosa ha fatto? Gli ha chiesto il perché rinnovando poi la dose di sculacciate per insegnargli che alle maestre si deve ubbidire? No. È andata di corsa dai Carabinieri per denunciare l’accaduto, fermamente decisa a mandare in galera (per il reato di abuso di mezzi di correzione è prevista la galera) la maestra che si era permessa di sculacciare il suo «piezz’e core».
Fatti del genere sono purtroppo la norma e spesso non si risolvono con la denuncia, ma con le vie di fatto. Madri che prendono a schiaffi la professoressa che pretende l’uso del lei («Così umilia e discrimina mia figlia!»), padri che prendono a botte i docenti ritenuti troppo severi o perché vietano l'uso del telefonino in aula («E la cultura del comunicare?» urlò un genitore al maestro che aveva appena steso a terra con un pugno) o perché colpevoli di redarguire davanti all’intera scolaresca - e dunque «ferendo la sua dignità» - il figlio troppo chiassoso e indisciplinato. Quando poi si tratta di pagelle, di bocciature, mai che se la prendessero coi figli lazzaroni e fannulloni, ma sempre con gli insegnanti «che non sanno fare il loro mestiere», fino ad arrivare ai grotteschi ricorsi al Tar. Tribunale che come è noto dà sempre torto all’insegnante promuovendo in forza di legge il bocciato.

Ed è così anche se in discussione non c’è un voto ma un provvedimento disciplinare perché, come recita una sentenza della Cassazione, pur in presenza di «casi difficili», in presenza di studenti «turbolenti», il professore deve avere «pazienza e tolleranza, oltre alle specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva». E quando nelle aule entra la psicopedagogia, caro Romani, a uscirne è la cultura, l’istruzione, la formazione.

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