Bologna - Lo spettacolino si annuncia scoppiettante fin dal titolo: «Il dittatore del bunga bunga». Con tanto di fotomontaggio di Berlusconi, in mano una maliziosa banana e in testa un berretto alla Fidel Castro come il Woody Allen dittatore di Bananas, e logo dell’Italia dei valori che ha inventato la performance. L’appuntamento è per venerdì 10 dicembre al Paladozza di Bologna con un trenino di politici-penne-toghe da prima serata e audience alle stelle. Ci sarà Antonio Di Pietro e ci sarà Marco Travaglio, presentato come «la penna più irriverente d’Italia», ma al loro fianco si cimenterà con l’arduo tema della manifestazione anche un peso massimo della magistratura come Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo.
Per la verità, i magistrati protagonisti dell’evento saranno due: oltre a Ingroia prenderà la parola anche Bruno Tinti, il fortunato autore del pamphlet Toghe rotte, ma Tinti, proprio per evitare cortocircuiti e per non prestare il fianco a critiche, ha da tempo lasciato la professione. Ingroia invece è in servizio; non solo: è il titolare della delicatissima inchiesta sulla trattativa fra lo Stato e Cosa nostra per fermare le bombe, è il pm che ha ricevuto da Massimo Ciancimino il famigerato papello con le richieste dei corleonesi, ha rappresentato l’accusa al processo Dell’Utri (in primo grado), insomma si occupa di Arcore e dintorni da molti anni oltre a seguire e inseguire tanti altri misteri italiani: è stato lui, per esempio, a riesumare recentemente i resti, presunti, di Salvatore Giuliano per accertare una volta per tutte l’identità del corpo sepolto nel 1950, fra misteri e chiacchiere, nel cimitero di Montelepre.
In sostanza, Ingroia è uno dei pm che da tempo stringono d’assedio Palazzo Chigi e il Cavaliere. Legittimo. Ma fa una certa impressione scoprire che Ingroia prosegue con altri mezzi e su un altro palcoscenico l’attacco sferrato al Cavaliere nelle aule di giustizia. Al mattino s’indaga, la sera si gioca fra satira, musica, giornalismo. Sfruttando un sontuoso parterre: Di Pietro, Travaglio e Ingroia. Ma non solo: ci sarà anche Sergio Rizzo, il giornalista anticasta del Corriere della sera e poi Vauro, con le sue vignette puntute, e il nobel della letteratura più militante della storia, Dario Fo. E ancora, il comico Antonio Cornacchione e il cantautore Andrea Mingardi. A condurre le danze ci penserà un giornalista navigato come David Parenzo, scattante volto della tv, che cercherà il giusto mix fra gli ospiti e i temi, «ripercorrerà - come dicono gli organizzatori - gli ultimi quindici anni di storia italiana analizzando il degrado etico-morale di cui è stato vittima il nostro Paese», seguirà il filo indicato dal chilometrico titolo: «Il dittatore del bunga bunga. Lui va, io resto...»
Dunque, Ingroia, che scava sui molti misteri italiani del lungo dopoguerra - dalla morte di Mauro De Mauro ai rapporti con la mafia di Bruno Contrada - sarà una delle voci che daranno fuoco alle polveri. Per carità, esiste una trentennale tradizione militante di parte della magistratura italiana che da sempre si concepisce come contropotere. Basterà ricordare Nicoletta Gandus, il giudice del processo Mills che non perde occasione per criticare sul web, in corteo o nei dibattiti il governo Berlusconi. Sulla carta il magistrato ha tutto il diritto, come ogni altro cittadino, per far sentire le sue opinioni antipremier, ma se poi la stessa voce legge in aula la condanna ad un avvocato coimputato del presidente del Consiglio, ecco che qualcosa non quadra. Siamo al cortocircuito, all’invasione di campo, alla guerra fra diversi pezzi dello Stato. Soprattutto il magistrato - il pm e ancora di più il giudice - rischia di perdere quella credibilità e quell’autorevolezza che gli derivano dall’essere sganciato dalla cronaca, dalle passioni della politica e dagli altri poteri dello stato.
I tribunali sono abitati invece da alcuni giudici che l’opinione pubblica considera, a torto o a ragione, leader dell’opposizione: con una mano scrivono le requisitorie, con l’altra saggi e acuminati interventi che trovano sponda nelle parole dei leader, da Di Pietro a Bersani. Ingroia e il suo collega Roberto Scarpinato avevano partecipato, a settembre dell’anno scorso, al forum di lancio del quotidiano ultragiustizialista il Fatto e sempre il prolifico Ingroia ha firmato l’anno scorso un libretto brillante, ricco di spunti e polemico con il governo sin dal titolo: «C’era una volta l’intercettazione». Risultato, paradossale: il testo del pm siciliano è a disposizione dell’opinione pubblica, la legge non c’è ancora.
Piccola accortezza, l’Italia dei valori annuncia che Ingroia non sarà sul palco, con gli altri relatori, ma verrà intervistato in precedenza e risponderà in solitudine alle domande su legalità e illegalità. La sostanza non cambia.
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