«Sono estranea al fatto» proprio non lo può dire. E, dunque, appare davvero provocatorio sentire Caterina, la madre del bimbo ucciso a Genova, ripetere «sono una mamma. Rispettatemi». Si capisce, invece, perché la legge del carcere labbia già condannata: una mamma, definibile tale, non avrebbe mai messo il suo piccolo nella situazione che lha portato alla morte. Tra le mani di un drogato violento, mentre lei faceva il carico di droga per entrambi. Il povero piccolo sventurato aveva solo otto mesi. E non possiamo continuare a giustificare qualsiasi cosa.
Se bastasse definirsi mamma, per essere considerata innocente e addolorata, non ci sarebbero al mondo milioni di bimbi infelici, maltrattati, abusati e persino uccisi.
È polverosa retorica quella di chiedere rispetto solo per il fatto di essere madre. Se poi il figlio è stato ucciso per la sua incuria, è anche strumentalizzazione inquietante; ingiuriosa, addirittura, verso tutte le mamme rimaste orfane delle proprie creature per inesorabili malattie, per la guerra, i terremoti, le crudeli mani altrui. Purtroppo le mamme cattive esistono. Ci sono sempre state.
Non è così vero che listinto materno sia innato. La madre ha invece il potere, senza confini, di scegliere tra la vita e la morte di un figlio: può decidere se farlo nascere e come farlo vivere. Poi nellamore della madre, giusto, sbagliato, equivoco, violento, inadeguato o rassicurante, cè il destino di quel figlio. Un destino già abbozzato prima, con il padre che per lui la madre aveva trovato, o negato o nel quale era casualmente incappata. O che neppure sapeva chi fosse.
Tutte le mamme dicono che vogliono la felicità dei figli. Molte dimenticano, però, di esercitare lattenzione e la responsabilità, cardini dellamore materno e frutto di una consapevolezza che non ha nulla di istintivo e tantomeno di innato.
La buona madre ha un progetto a lungo termine; sa che lavere un figlio impone cambiamenti di vita e di pensiero, porta fatica e ansie, pretende tempi privilegiati da dedicare a una creatura bisognosa di accudimento, nutrimento, sguardi amorevoli e ascolto.
La mamma assente, indifferente, incapace, inerte, implacabile nel continuare a vivere come se il figlio non fosse nato, è una mamma cattiva. Una madre colpevolissima, anche se il figlio rimane vivo, malgrado le situazioni di pregiudizio che lei gli crea. È una madre che viola i poteri e i doveri che per legge acquisisce nel momento in cui pretende di essere la madre di qualcuno.
Oggi la maternità è una scelta, persino segnata dallonnipotenza: non si può accampare un mero diritto di sangue per dichiararsi madre e rivendicare, per ciò solo, il rispetto di chicchessia.
Legoismo, linadeguatezza, i comportamenti autodistruttivi, la presunzione, la sventatezza sporcano inesorabilmente limportante e serio significato della parola e della funzione di madre.
Qualsiasi nuovo nato ha diritto, quantomeno, e se non allamore, al rispetto anche basico dei diritti riconosciutigli dalla Costituzione: mantenimento, educazione, istruzione, salute, rispetto dellidentità.
Ha diritto alla vita e a questa deve essere preparato e formato.
Una madre che a ciò non si è attrezzata con sapienza e coraggio, che non ha modificato lordine dei suoi valori esistenziali, che non ha attivato la forza morale necessaria allimportante compito, è una mamma cattiva che disonora il suo nome e non può evocare vittimisticamente un dolore terribile, in nome dellessere madre.
Non ci sono due rigide e antitetiche categorie di mamme, buone e cattive; le differenze tra luna e laltra sono numerosissime e danno luogo a infinite sfumature di maternità, che possono anche convivere in una sola persona. Certo, per essere buone mamme, bisogna aver potuto contare anche su un ambiente affettivo adeguato, su occasioni di educazione positiva e realizzazione personale. Bisogna avere imparato il senso di responsabilità e lumiltà di chiedere aiuti competenti nel dubbio e nella paura.
Alcune mamme cattive sono perciò vittime loro stesse dellamore inesistente di chi le ha cresciute. Altre, però, sono combattute tra lessere solo donne, anche non encomiabili, e il diventare madri in qualche modo.
La maternità ha tante zone dombra: cupe, inquietanti, terribili, che raccontano del freddo distacco, della malvagità, della violenza. Della trascuratezza che porta alla morte un bimbo, perché colpevole di avere allimprovviso compresso la libertà di sua madre, vogliosa di vivere nellannientamento di se stessa.
Questa madre non è, quindi, «estranea al fatto»: ha tradito suo figlio e se stessa, perché non aveva capito, e non le bastava, di essere madre. E ora non può più chiamarsi così.