Massimo Cialente non è più primo cittadino dellAquila. Il sindaco del terremoto si è dimesso ieri, come atto di protesta contro una maggioranza che non lo sostiene più, contro un clima da campagna elettorale permanente che frena la ricostruzione. Ieri lennesima seduta del consiglio comunale saltata per mancanza del numero legale. Quando Cialente ha scoperto che non si sarebbe votato come previsto sulle linee guida per la riorganizzazione delle società partecipate nellambito della ricostruzione fantasma, ha deciso che era troppo. La classica goccia che fa traboccare il vaso, anche se «il vaso - precisa amaro Cialente - era già traboccato da tempo, tutti cercano solo visibilità politica».
Cialente ha venti giorni per ripensarci. Ma da ambienti a lui vicini si esclude qualsiasi possibilità di una retromarcia. Il suo è in apparenza un gesto forte. Diremmo una scossa, se non temessimo di apparire irriverenti. Ma in realtà dietro a questo atto coraggioso si nasconde il tentativo da parte di Cialente di scaricare sullassemblea, sulla propria maggioranza, comunque su altri le responsabilità per una ricostruzione che non parte, come un motore ingolfato, nascondendo le proprie, di colpe. Perché, come dimostrato dalle nostre inchieste, se il centro storico dellAquila appare spettrale oggi come la mattina del 6 aprile 2009, poche ore dopo il devastante sisma; se i cantieri non partono, se le gru sono ferme, se perfino gli aquilani si sono stancati di utilizzare come muro del pianto le grate che circondano una vasta area fatta solo di silenzio e macerie; se tutto questo accade (o meglio: non accade) è proprio perché Cialente e la sua giunta di centrosinistra a quasi due anni dal sisma non hanno predisposto il piano di ricostruzione del centro storico del capoluogo abruzzese, mandando al macero non solo i quattro miliardi di euro stanziati dal governo ma anche tanti altri rivoli di finanziamento. In particolare appare suicida la scelta di Cialente di tradire limpostazione scelta dal governo nel decreto legge 39/09, che prevede un piano complessivo per tutto il centro storico, visto come un «unicum» il cui recupero costituisce un interesse pubblico generale superiore ai casi singoli, a favore di unimpalcatura giuridica che prevede il caso-per-caso, che distingue prima da seconda casa, che insomma si traduce in un ginepraio inestricabile.
Insomma, malgrado Cialente giochi a fare la trecentonovesima vittima del sisma, il suo addio restituirebbe un timido sorriso a molti aquilani. Soprattutto se si riuscirà a far rientrare lAquila nella tornata elettorale del 15 maggio, scongiurando un commissariamento di un anno che «sarebbe gravissimo», come dice lo stesso sindaco dimissionario. Da parte sua Cialente sembra intenzionato a lavorare per garantire una soluzione rapida della crisi.
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