Ha parlato di «buone intenzioni» Saeed Jalili, il capo dei negoziatori iraniani per il nucleare, prima di recarsi a Ginevra per discutere lo spinoso dossier atomico di Teheran con i membri del tavolo dei 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). Buone intenzioni: come la ripresa dei piani segreti per la costruzione di unarma atomica, che, secondo fonti dintelligence rivelate dal Financial Times, l'ayatollah Ali Khamenei ha già da tempo in primo piano sulla sua scrivania, o come il testare i missili Shahab 3, in grado di colpire Israele. Missili che, come ha affermato ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini, «rappresentano una minaccia per il mondo».
Le «buone intenzioni» iraniane, nei primi colloqui nucleari da quando Barack Obama è entrato alla Casa Bianca, sono legate a «un'opportunità e un test per le potenze mondiali» e, come ha detto lo stesso presidente Mahmud Ahmadinejad, a «valutare quanto certi governi intendano dar seguito ai loro slogan di cambiamento», ovvero sembrano più che altro buone intenzioni degli altri. Casualmente, l'amministrazione americana nei giorni scorsi ha suggerito la possibilità di nuove sanzioni per il settore bancario e per quello dell'oil&gas: sanzioni che per Washington dovrebbero scattare se l'Iran, quinto esportatore di greggio al mondo, non riuscisse a fugare i timori dell'Occidente sul suo programma nucleare e sull'utilizzo bellico che i pasdaran potrebbero farne.
Timori che Teheran non ha affatto intenzione di fugare, ritenendo il nucleare un «diritto» e sostenendo che l'utilizzo sarebbe unicamente civile: e se i colloqui con i membri del 5+1 a Ginevra dovessero per qualche motivo arrivare a un punto di rottura e a nuove sanzioni, «l'Iran è pronto a fronteggiare ogni situazione, perché negli ultimi 30 anni abbiamo imparato a stare in piedi da soli», ha tuonato Ahmadinejad.
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