Il buonismo di Veltroni non era che un bluff: ecco il suo volto cattivo

Messo in disparte ha rinnegato la politica della distensione E pur di ostacolare D’Alema va in piazza col popolo viola

Roma Parliamo di «rossi». C’è quello d’origine controllata, corposo, talvolta persino generoso: ben invecchiato, mantiene un ricco bouquet. Dovesse essergli assegnata un’etichetta, meriterebbe la più classica: «Max, rosso antico». Poi ecco il giovane che non ti aspetti: un po’ traditore, poco trasparente, finisce con lo stordire. Ma almeno è brioso, sorprendente, lo denomineresti volentieri «Novello Fini». Purtroppo esiste un tipo ancora meno genuino: uva di provenienza sospetta, forse geneticamente modificata. Ti pianta in asso e inacidisce presto: ovunque lo metti, manda tutto alla malora. Guai a metterlo in tavola, «Il veleno di Walter», e al diavolo pure l’etichetta.
A buon intenditore poche parole. Una su tutte: che il «buonismo» di Veltroni ha saputo d’aceto fin dalla prima spremitura. Chi ben conosceva i giovanotti già al tempo del Pci così avvertiva: «A cena vai con D’Alema, ti diverti anche se ti tratta come un suddito. Ma lui è simpatico e si considera un “buon re”. L’altro, invece, è la strega cattiva delle favole. Non sa mangiare né bere, e t’annoia a morte».
Passano i lustri, passano i decenni, ma l’eterna vicenda di «Massimo & Walter» risorge a ogni curva. Incurante dello spettacolo che offre, finirà soltanto con la sparizione definitiva di uno dei due. Eppure se D’Alema guarda in alto, ne fa una questione d’orgoglio per le sue riforme mai nate («Io sono un politico, altri no»), Veltroni sembra farne una questione personale, come una vecchia zitella invidiosa. Con toni stizziti sfoga il malanimo nei confronti dell’ultima prova di dialogo lanciata dall’odiato Max: «È allucinante, non si può dire una volta che Berlusconi deve essere ridotto a fare il mendicante e poi un’altra trattarlo come se fosse De Gasperi... Bisogna essere seri e coerenti, in politica».
Sarebbe un discorso accettabile, provenendo da altro pulpito. Il buon Peppino Caldarola, sul Riformista di ieri, bene ha fatto a rinfrescare la memoria. Chi ha rilanciato l’«inciucio» con il Cav, al punto che due autunni fa venne coniato persino l’acronimo «Caw»? Sentite il Walter del congresso al Lingotto: «Dobbiamo farla finita con lo scontro frontale e con i veleni, il Paese è stanco, non ne può più, non vuole una politica avvolta nell’odio in cui l’altro è nemico...».
Quando la coerenza è tutto: quello era il Veltroni incoronato leader del Pd dalle primarie, che secondo il Fini dell’epoca «aveva resuscitato un Berlusconi ormai finito». Ma oggi siamo di fronte all’altro Walter, al (presunto) «buonista» andato ad aceto. Aveva lasciato la segreteria del Pd, dopo una serie di batoste solenni, per cercare di trascinare nel baratro con sé l’intera classe dirigente pidina. In particolare, inutile dirlo, il «caro Max»: pubblicamente additato come colui che avvelenava i pozzi impedendogli di governare il partito e vincere. Dalla scrivania di casa, come tanti vecchi leader incapaci di cambiar vita, Veltroni per mesi ha cercato di essere l’eminenza grigia del successore, il suo ex vice Franceschini, riservando per sé soltanto la gestione degli affari più «importanti», come le nomine Rai.
Ma neppure questa operazione, dopo quella del Pd «partito a vocazione maggioritaria» che ha distrutto l’intera sinistra, è giunta a buon fine. L’arrivo di Pierluigi Bersani (anche lui teleguidato da D’Alema, almeno in parte) ha costretto l’aspirante burattinaio a scendere di nuovo in campo. E persino in piazza, intercettando il primo movimento disponibile sul mercato: quello del «popolo viola». Se vogliamo, la prova regina del fatto che si trattasse di ragazzi blogger un po’ manovrati da Di Pietro, sta proprio nel fatto che Veltroni abbia potuto sfilare assieme a loro. Si fosse trattato dei vecchi compagni della sinistra radicale e comunista, spazzati via dalla tattica suicida delle ultime elezioni, Walter se la sarebbe dovuta filar via a gambe levate.
Capita a tutti di imbroccarne una, per puro caso. «Walter ha fatto alla sinistra quello che né Berlusconi né Craxi né nessun altro è mai riuscito a fare: un deserto», lamentano i post-sempercomunisti. Ricordando la coerenza di uno che è entrato nella segreteria del Pci con i calzoni corti e ne è uscito - a Muro caduto - dichiarando di «non essere mai stato comunista».

Con lo stesso passo rapido e obliquo, Veltroni oggi torna a mettersi di traverso all’«inciucio» dalemiano, non potendo più gestire in proprio quel che riteneva un «dialogo benedetto». Come quel marito dispettoso che se lo tagliò, pur di recar danno a consorte.

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