Politica

Burlando nel pallone «Questi magistrati sono dei deficienti»

Dopo le critiche di Violante a Caselli, l’ex ministro, oggi presidente della Liguria, attacca duramente le toghe per la sentenza sul Genoa

Ferruccio Repetti

da Genova

«Deficienti, sì, scrivetelo pure. Sono deficienti»: quando lui, Claudio Burlando, ds di stretta osservanza dalemiana, ex ministro dei Trasporti del governo Prodi e oggi presidente della Regione Liguria, ha scandito questa definizione in pubblico all’indirizzo dei giudici che avevano condannato il «suo» Genoa alla serie C, tutti hanno sgranato gli occhi, ma nessuno ha più avuto dubbi. A decretare ufficialmente il distacco, la fine di un amore considerato indistruttibile fra magistratura e sinistra - la polemica fra Violante e Caselli è appena dell’altro ieri - a dare la spinta decisiva, è stato il calcio, per la vicenda che ha coinvolto il glorioso e nobilmente decaduto Grifone, la società più antica d’Italia, tornata dopo dieci anni di purgatorio nell’élite dei campionati. L’entusiasmo, l’euforia, lo sballo dei tifosi e della città era durato un amen. Poi ci si erano messi di mezzo i giudici, «quei» giudici. Per loro, la partita decisiva era truccata, comprata dal presidente Enrico Preziosi a suon di migliaia di euro. L’esito è noto: sanzione inesorabile, retrocessione, squalifica di cinque anni per il massimo responsabile. Sentenza ribadita in appello, con tanto di frasi scritte su bigliettini che i giudici si erano scambiati durante il dibattimento. Una barzelletta? No, tutto vero: i bigliettini sono stati recuperati, nessuno smentisce. C’è anche scritto che quel presidente è un fesso. «Giuro, subito non ci ho creduto», sbotta sempre Burlando. E sviluppa il concetto secondo cui, ai giudici, «deve mancare qualcosa». Spara la definizione sintetica nei loro confronti, e la argomenta per un’ora, nei corridoi a fianco della sala consiglio, mentre gli assessori e il presidente dell’assemblea regionale lo tirano per la giacca perché si faccia vedere in aula. Ma lui va giù pesante. E disegna scenari che vanno oltre il calcio: «Ma ve l’immaginate - insiste - se i giudici di Milano che hanno giudicato Berlusconi avessero scritto su dei bigliettini che lui è un mafioso, che è un fesso, che lo condannano in modo da escludergli la possibilità di fare ancora il presidente del consiglio? Secondo voi - conclude, ma solo per il momento - quei giudici avrebbero potuto emettere una sentenza? No, in un Paese civile non può esistere una giustizia sportiva senza regole». L’obiettivo, adesso, resta quello di cambiare una sentenza ingiusta, ma sia chiaro: «Questa vicenda è stata gestita con i piedi da persone irresponsabili». Non è da meno il parere del sindaco Giuseppe Pericu, amministrativista insigne, e ds di altrettanto stretta osservanza, che ha sempre difeso a spada tratta leggi e magistrati: «Si sono comportati con una leggerezza da goliardi». Ma c’è di più: nel timore che i tifosi, affiancati dai facinorosi, mettano a ferro e fuoco la città - le prime avvisaglie si sono viste l’altra notte, e hanno provocato danni per oltre 200mila euro -, Pericu, all’unisono con Burlando e il presidente della Provincia Alessandro Repetto, mette le mani avanti: «Se ci scappa il morto, riterremo questi giudici moralmente e penalmente responsabili». Nelle ultime ore, poi, si aggiunge al coro il senatore Lorenzo Forcieri, anch’egli ds, che annuncia la presentazione di un’interrogazione urgente al presidente del Consiglio per chiedere di intervenire e verificare cosa sia effettivamente avvenuto e se quanto accaduto non configuri gli estremi per una ripetizione del processo. Non basta: secondo Forcieri, la sentenza non ha precedenti per severità nella storia della giustizia sportiva, ma quel che appare grave è la vicenda dei bigliettini: «Se tale circostanza venisse confermata - sottolinea -, rivelerebbe che i giudici consideravano scontato un giudizio mentre il processo si trovava ancora nella fase dibattimentale». Anche lui va oltre i confini del calcio, e ricorda che «in un bigliettino, venivano indicati due giudici del Consiglio di Stato e della Caf, additati come "appartenenti a ’ndrangheta e camorra", nonché altre illazioni. L'intera vicenda - conclude il senatore ds - presenta aspetti assieme paradossali e lacunosi». Insomma: per decretare il divorzio fra magistratura e sinistra - abituati a viaggiare da anni sulla stessa linea tribunale-parlamento - ci si è messo anche il calcio.

Con un vero e proprio autogol.

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