Burlando vota i canditi di Romanengo

Appassionato di cioccolato, lo è sempre stato, il presidente della Regione Claudio Burlando. E lo ha ammesso apertamente, ieri mattina, subito dopo aver varcato l’ingresso del tempio dell’onesto peccato, quel laboratorio della confetteria «Pietro Romanengo fu Stefano» in viale Mojon che esiste e resiste brillantemente dal 1780. Ma davanti a tutto quel ben di Dio - praline, canditi, petali di rosa e viola, tutti sfizi sublimi di cui sarebbe un delitto privarsi - anche la passione esclusiva del politico si è sciolta come un quaresimale in bocca al più impenitente dei golosi. E Burlando (che ha già programmato un’altra visita al pregiato Domori) non s’è fatto pregare per trasformarsi in assaggiatore professionale, se non proprio professionista: non si contano i marron glassé testati con puntiglio dal presidente, né si possono enumerare con precisione i bon bon che sono spariti in un amen, ma con discrezione, fra la lingua e il palato dello stesso Burlando, risoluto a non lasciare nulla di inesplorato. Del resto, a invitarlo a così dura prova ha contribuito il titolare, Pietro Romanengo, nel mostrare all’illustre ospite tutta l’eccellenza della produzione: mandarini e arance che provengono rigorosamente da Nervi, viole e rose esclusivamente nostrane, mentre le pere, qualità camoglina, non arrivano più da Struppa, come una volta, ma dalle migliori selezioni del Trentino... Tutto, o quasi, come una volta: il tempo pare si sia fermato, in via Mojon.

Anche le macchine sono le stesse, ma lavorano alla grande. A suo tempo ne gustavano le infinite sfumature di sapori, tanto per dire, Giuseppe Verdi, la duchessa di Parma e la duchessa di Galliera, i re e le regine. Ora anche Burlando. Par condicio, in nome della Bontà.

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