Politica

Bush infuriato con Barack: non raccontare i nostri segreti

Sorrisi? Sì e tanti tra George Bush e Barack Obama, davanti ai fotografi. Ma nell’intimità dello Studio Ovale anche molta tensione. Per colpa della General Motors, della Ford e della Chrysler. Esauriti i convenevoli, il presidente eletto è andato subito al punto chiedendo un sì deciso al piano urgente di sostegno all’industria automobilistica americana, che è sull’orlo del collasso. Ma la risposta non è stata quella desiderata.
«Vuoi altri aiuti?», ha osservato l’attuale capo della Casa Bianca. «Bene, ma in cambio i democratici, in maggioranza al Congresso, devono revocare l’opposizione all’accordo di libero scambio con la Colombia». Un baratto, insomma. Bush da tempo tiene moltissimo a quell’intesa commerciale, che però i democratici rifiutano, con altrettanta convinzione. «Il regime di Bogotà calpesta i diritti umani e quelli sindacali, come può beneficiare di accordi doganali privilegiati con gli Usa?», osserva la solita fonte anonima che aggiunge: non è solo Obama a pensarla così, il partito è schierato con lui.
Partita chiusa insomma. O forse no, perché nessuno può permettersi di far fallire l’industria automobilistica americana. E allora la guerra si trasferisce sui media. Gli uomini di Obama lunedì sera hanno passato la notizia dello screzio al New York Times e ieri mattina il portavoce di Barack, Robert Gibbs, l’ha confermata pubblicamente. Come dire: noi facciamo il possibile per salvare le tre società, ma se non ci riuscissimo la colpa non sarebbe nostra. La Casa Bianca, ovviamente, non ha gradito reagendo con un no comment ufficiale, ma facendo sapere per vie indirette di essere molto sorpresa. Perché quel colloquio era confidenziale e doveva restare tale. Questioni tra presidente e presidente, insomma.
La General Motors intanto precipita in Borsa, toccando i minimi dagli anni Quaranta. Obama assicura che darà seguito alle proprie promesse non appena insediato, il 20 gennaio. Promesse che comunque sono vincolate: lo Stato salverà il colosso di Detroit solo in cambio di un impegno a rendere sempre più ecologici i motori. Ammesso che il 20 gennaio General Motors esista ancora: la situazione è davvero disperata e alla fine Bush potrebbe essere costretto a cedere. Il suo successore ne è intimamente convinto; vedremo se a torto o a ragione.
In ogni caso la nuova amministrazione cambierà rotta su molti dossier. Sull’Afghanistan, ad esempio, dove la caccia a Bin Laden verrà privilegiata rispetto all’ambizione, considerata irrealistica, di rendere pienamente democratico l’Afghanistan. Sull’Irak, con l’annunciata accelerazione del ritiro delle truppe. E, soprattutto, sul budget del Pentagono, che gli esperti democratici giudicano «insostenibile», e che verrà ridotto. Perché l’11 settembre è lontano e certe spese non sono più giustificate. Perché è meglio un miliardo in più investito nell’economia reale che un caccia di ultimissima generazione nei cieli. Perché Obama ha fretta e non accetterà obiezioni, nemmeno dai generali.
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