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Bush invia aerei pieni d’armi all’esercito libanese

Il premier Siniora prepara l’attacco finale ai terroristi del campo profughi di Nahr el-Bared ma Al Qaida minaccia di aprire la caccia ai cristiani. Da ieri aiuti congiunti di Stati Uniti, Giordania ed Emirati arrivano senza sosta all’aeroporto di Beirut. Con la benedizione della Francia

Bush invia aerei pieni d’armi all’esercito libanese

A dicembre l’hanno salvato da Hezbollah, ora vogliono metterlo in condizione di difendersi da Al Qaida o da chiunque stia dietro a Fatah Islam. La «santa alleanza» arabo americana ha ripreso a funzionare e il premier libanese Fuad Siniora può tirare un altro sospiro di sollievo. Da ieri aerei dell’aviazione americana, giordana e degli Emirati Arabi Uniti si susseguono sulle piste all’aeroporto di Beirut scaricando container di armi e munizioni. Il ponte aereo è un tangibile segnale di sostegno al governo impegnato nell’assedio ai militanti di Fatah Islam asserragliati nel campo di Nahr el-Bared, a nord di Tripoli. «Posso solo sperare che il governo riesca ad avere la meglio su quel gruppo d’estremisti», ha detto ieri il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ricordando il pieno appoggio di Washington al governo Siniora. Un appoggio reso assai più concreto dall’invio di otto voli carichi di rifornimenti e dallo stanziamento di 40 milioni di dollari in aiuti militari.
A rendere più solida questa «santa alleanza» contribuisce la salita all’Eliseo di Nicolas Sarkozy. Sullo scenario libanese, come già su quello iraniano, la Francia, non trascura di dimostrarsi saldamente al fianco degli Stati Uniti e pronta a garantire il massimo impegno nella difesa dell’ esecutivo. Anche stavolta, come già successo per la questione iraniana, è il nuovo ministro Bernard Kouchner a farsi garante degli impegni presidenziali. «La comunità internazionale non accetterà mai le minacce e il terrorismo, siamo decisi a portare al voto del Consiglio di Sicurezza Onu la mozione per la creazione di un tribunale internazionale in grado di giudicare mandanti e assassini», ha promesso il ministro degli Esteri francese ribadendo la volontà di condannare i responsabili del complotto per l’eliminazione dell’ex premier Rafik Hariri. Promessa pronunciata non a caso visto che molti all’interno del governo libanese, considerano Fatah Islam non una propaggine di Al Qaida, ma una creazione dei servizi segreti siriani usata per destabilizzare il paese e impedire la creazione del tribunale internazionale.
A nord di Tripoli, intorno alle palazzine di cemento chiuse intorno al grigio alveare di Nahr El Bared, si è intanto ripreso a sparare. L’esercito, incoraggiato dagli aiuti internazionali, prepara forse l’offensiva finale e spara sui difensori del campo per facilitare l’avvicinamento dei reparti incaricati di scatenare l’assalto decisivo. Siniora ripete del resto di voler sradicare tutte le forze terroriste presenti nel campo.
Più il tempo passa più la situazione rischia però d’incancrenirsi. Molti rifugiati hanno abbandonato le loro case, ma migliaia di abitanti del campo sono ancora prigionieri delle proprie abitazioni e del fanatismo di Fatah Islam. Abu Salim Taha, portavoce dell’organizzazione armata, ha ricordato più volte che il gruppo non ha alcuna intenzione di arrendersi e «combatterà fino all’ultimo proiettile e all’ultima goccia di sangue».
Abu Hureira, un leader del gruppo, promette, invece, nuove e più diffuse violenze se l’esercito tenterà di espugnare il campo. Parlando al telefono con i giornalisti l’esponente integralista minaccia di attivare le cosiddette «cellule dormienti» infiltrate da Fatah Islam negli altri campi palestinesi e nelle città libanesi per dare il via ad una nuova ondata di violenza. E l’«Organizzazione di Al Qaida nei Paesi del Levante», un’altro marchio dei fedeli di Osama Bin Laden, minaccia invece in un comunicato diffuso su internet una campagna di attacchi contro i cristiani libanesi se l’esercito non metterà fine all’assedio.
Sul fronte meridionale - quello dove le forze dell’Unifil cercano di contenere le milizie di Hezbollah - il generale italiano Claudio Graziano, comandante del contingente internazionale, conquista intanto gli elogi di una stampa israeliana solitamente assai critica nei confronti dell’Onu. Il quotidiano Yediot Ahronot, il più letto in Israele, gli dedica un titolo a tutta pagina e lo definisce «L’uomo che ferma Hezbollah». Nell’intervista il generale attribuisce all’ Unifil il merito di aver scoperto e distrutto centinaia di bunker del Partito di Dio, di aver tenuto lontani i miliziani dalle basi alla frontiera con Israele e di averne bloccato il riarmo missilistico. «Per il sud è il periodo più tranquillo degli ultimi 40 anni», sottolinea il generale Graziano.

«Voglio - afferma - costruire un rapporto di fiducia e far capire agli israeliani che la situazione in Libano è cambiata perché esiste una Unifil diversa e nuova».

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