«Bush non riconoscerà un governo con Hamas»

da Gerusalemme

Mancano 24 ore e la grande paura si chiama Hamas. Lo ammettono gli americani che minacciano l'Anp di chiudere ogni negoziato se il governo avrà un solo ministro fondamentalista. Lo fa capire il premier inglese Tony Blair quando afferma che la presenza di Hamas nel nuovo esecutivo dell'Anp costituirebbe un indubbio problema. Lo ribadisce il nuovo ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni ricordando all'Europa che la democrazia non permette la partecipazione al governo di formazioni terroriste. Ma si sa il vero diktat, quello che conta veramente e a cui tutti guardano arriva da Washington. Il quotidiano israeliano Haaretz lo sbandiera in prima pagina spiegando che gli inviati Usa, giunti in Medio Oriente 10 giorni fa, hanno definito una violazione delle leggi americane il riconoscimento di un governo con all'interno i ministri di Hamas. E stando ad Haaretz le stesse indicazioni sarebbero arrivate in seguito anche da Javier Solana, l'alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea e dal ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos in visita in Israele la scorsa settimana. Poche ore dopo fa sentire la sua voce anche il premier inglese Tony Blair. «Per noi - chiarisce - sarebbe molto difficile negoziare o parlare con Hamas a meno che non arrivi da parte sua una chiara rinuncia al terrorismo».
Messo al muro da questa sventagliata di dichiarazioni Hamas cerca immediatamente di correre ai ripari. Il primo a prender la parola da Gaza è Mahmoud Zahar. Il numero uno della lista di Hamas, ispiratore e ideologo della nuova strategia moderata adottata dalla formazione fondamentalista, prende la parola poche ore dopo l'uscita in edicola di Haaretz e dichiara che «il negoziato con Israele non è un tabù» seppur limitato solo a questioni come lo scambio di prigionieri. «Esistono mille modi per trovare dei contatti se Israele ha qualcosa da offrirci, come la fine degli attacchi, il suo ritiro o la liberazione dei detenuti (palestinesi)». La precisazione riguardante i prigionieri permette a Zahar di ripararsi dietro lo scudo di trattative e negoziati già intrapresi, neppur troppo segretamente, in passato. Ma quel che conta oggi sul versante politico è la scelta del «numero uno» di affrontare il tema negoziati.

Farlo immeditamente dopo il niet americano reso noto da Haaretz significa aver a cuore la partecipazione al governo e il ruolo della propria formazione sullo scenario internazionale. Significa insomma tenersi aperta la possibilità di giocare a tutto campo e di diventare il nuovo ago della bilancia nel conflitto mediorientale.

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