Il business miliardario delle gite scolastiche

Caro Granzotto, di recente il sindaco Cacciari ha espresso l’intenzione di porre un limite alle gite scolastiche a Venezia, sostenendo che il turismo di massa e di passaggio danneggia gravemente il capoluogo veneto. Mi sarei aspettato un’immediata sottoscrizione da parte dei sindaci delle altre città d’arte italiane e l’appoggio del governo in carica. Per impegni di lavoro trascorro quattro, anche cinque mesi all’anno a Firenze e so bene cosa succede durante la stagione delle gite scolastiche!


Essendo quello delle gite scolastiche un business miliardario è normale che ci sia una lobby, legittima naturalmente, che le promuova e le presidi. In questo spalleggiata da tutte le attività dell’indotto, agenzie di viaggi, di noleggio, alberghi, ristoranti, negozi di souvenir e anche musei o manifestazioni, «eventi» come oggi si preferisce chiamarli. Le orde di studenti che (trascinando i piedi e afflitti dalla noia) si riversano al Museo Egizio di Torino, dico per dire, o a quel Salone del Libro o della Tecnica o delle Fonti Alternative, fanno numero, eccome. E in sede di consuntivo il numero si trasforma in prestigio e il prestigio in finanziamenti. Ovvero quattrini. Un tempo la gita scolastica era una semplice e occasionale estensione della ricreazione. Le mete non andavano più in là delle Fonti del Clitumno - sempre per dire - laddove, all’ombra dei salici, la maestra o il professore immancabilmente declamavano, e tutti zitti, tutti ad ascoltare compunti: «Ancor dal monte, che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti...». Ciò fatto, spuntavano i panini con la frittata o con la mortadella. Oggi no, oggi le scolaresche hanno per meta Londra, Barcellona, Parigi o Venezia, come ultima chance. Oggi, da circostanza eccezionale qual era, la gita scolastica è diventata un obbligo imprescindibile (costosissimo per le famiglie). Quel che è peggio, presa in consegna dalla sociologia e dal suo tritume, ha cessato d’essere pretesto di svago ricreativo per assumere il rango di «esperienza», di «occasione di dialogo» quando non di «confronto» e, a tempo perso, di «accrescimento» culturale.
Non c’è bisogno di laurea in sociologia o di diretta esperienza per sapere, invece, a cosa si riducono le gite scolastiche. Quale ne sia l’àmbito dell’«esperienza», l’argomento del «dialogo» e il contenuto del «confronto». E per carità di patria non parliamo del tasso di accrescimento culturale. Ma va bene così: non saremo certo noi a far muro al progresso, al nuovo che avanza, come lo chiama Walter Veltroni. Siamo però d’accordo con Massimo Cacciari nel far muro allo sciamare delle scolaresche nelle fragili città d’arte già devastate dal turismo di massa e di passo. E nel condannare quell’improbabile ministro di Giuseppe Fioroni il quale, non si sa se per riflesso giovanilistico condizionato o per non dispiacere alla lobby o, infine, per schiappaggine di pensiero ti è andato a dire, riferendosi alle intenzioni di Cacciari, che è «sbagliato penalizzare i giovani». Pena non rappresentata dal divieto di mettere piede a Venezia, a quanto pare irresistibile calamita culturale per falangi di alunni.

Ma da quella, terribile, drammatica, insostenibile, contraria ai più elementari diritti umani, di accedervi in massa, in baldoria e in veste di gitanti scolastici. Fioroni. Ministro del governo Prodi. Quello «della serietà».

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