«La bustarella», tra amarcord e quiz ruspanti

Dietro le quinte del programma di Andenna, «padre dei pacchi»

Luigi Mascheroni

Tra il primo gioco, una sfida fra bellezze paesane per il titolo di Miss Bustarella - la spunta la ragazza di Gravedona, bikini e occhiali compresi - e l’ultimo, nel quale i concorrenti scegliendo da varie buste cercano di aggiudicarsi l’auto messa in palio da un concessionario di Busto Arsizio (ma finendo il più delle volte per portarsi a casa bancali di vernice e stock di soppressata) passano quattro sudatissime, chiassose ore e un numero interminabile di spot zeppi di cucine, camerette e abiti da sposa. Quando sta per partire la sigla d’inizio, quasi un quarto di secolo dopo l’ultima volta - nel luglio dell’84 - Ettore Andenna, tiratissimo, aizza il pubblico, perlopiù di over 60: «Tre minuti e vi faccio ringiovanire di 22 anni: chi se la ricorda, la rivivrà. Chi l’ha solo sentita raccontare, la vedrà adesso». Tre, due, uno: sei in onda Ettore...
Si era preparato almeno tre discorsi differenti per celebrare il grande ritorno della sua Bustarella, l’Andenna: stesso palcoscenico, il mitico Studio Uno di Antenna 3, praticamente gli stessi tecnici, identici i giochi, le musichette, i concorrenti maschi con l’abbronzatura mezze maniche e le concorrenti femmine con la depilazione approssimativa, il pubblico che sventola i lenzuoli con la scritta un po’ sbavata «Forza Marnate»... Alla fine Ettore Andenna ha guardato in camera e ha detto soltanto: «Eccoci qui».
Eccolo qui, il pioniere più coraggioso del Far West delle tv locali, il capobanda del «Mucchio selvaggio» del tempo che fu: Ettore Andenna. Ha appena compiuto i sessant’anni, e stasera finisce un lungo esilio da dimenticato di lusso, visto che ha scritto la Genesi delle emittenti private, quando le frequenze erano di tutti perché non erano di nessuno e l’etere il primo che lo aspirava era suo. Ha inventato qualcosa in più di una semplice trasmissione (un format si dice adesso), ha inventato un genere: quello dei giochi ruspanti, del bikini che si allenta in diretta, delle telefonate da casa...
Il tempo che passa è impietoso, i tempi televisivi lo sono ancora di più. Quando partì, nel 1978, la Bustarella era casereccia ma all’avanguardia: il notaio in studio che giudicava i dipinti sulle tette delle ragazze di paese era qualcosa di rivoluzionario. Oggi, nel 2006, la Gran Bustarella Show, è casalinga e naif: gli spogliarelli dietro il paravento effetto «ombre cinesi» fanno tenerezza. Eppure, Ettore Andenna non si scompone, dopo il primo grappolo di spot la tensione si scioglie e lui torna quel conduttore di razza che è sempre stato: parla veloce, battutista perfetto, lancia l’orchestra, svezza le vallette (una volta c’era Carmen Russo che tacchettava per lo studio, oggi c’è Katrina del Grande Fratello), controlla le attrezzature dei giochi durante le pause. Tutto come una volta, e non si sa se è un bene o un male. Andenna ha solo qualche capello in meno, 263 puntate alle spalle e almeno altre 33 davanti, da qui a giugno, tutti i sabato sera, tutte in diretta.
Al debutto, in prima fila c’è anche Renzo Villa, un generale a riposo della tv commerciale, patron dell’età d’oro di Antenna 3, che ha declinato l’invito dell’amico Andenna a fare da giudice: «L’emozione sarebbe troppa», ha detto. La stessa che hanno provato i vecchi magazzinieri a tirar fuori piscine, materassini e palloni elastici, come 25 e passa anni fa.

Quando i concorrenti che stavano giocando in studio in quel momento non erano neppure nati, beatamente convinti che i premi al buio li ha inventati Bonolis e la tv «fatta in casa», guardona e verace, è cominciata col Grande fratello.

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