Non so quanti ricorderanno oggi, a 40 anni dalla sua morte, un aspetto essenziale per capire Dino Buzzati,l’uomo e l’opera:la sua indole di conservatore all’antica, apolitico, pessimista e anche reazionario, come egli stesso ammise, ma reazionario in forma privata, precisò, «attaccato alle vecchie cose, alla tradizione, piuttosto che alle cose di domani ». Rispettoso del «principio d’autorità fin da bambino», «doverista », come egli scrive, cioè legato all’etica militare e al senso del dovere.
Non è una banale etichetta ideologica, ma non si capisce «Il deserto dei Tartari», il tenente Drogo, la Fortezza Bastiani, il suo mitico mondo di neve e sogni, natura e magia, alberi e fate, senza capire quell’indole.E così la sua difesa della letteratura fantastica contro quella impegnata: «il conformismo, l’opportunismo e l’arrivismo filo-marxista dei miei colleghi mi fa venire il vomito, e come primo impulso mi fa diventare assertore della monarchia assoluta».
E la sua critica alla contestazione, «una cretineria bell’e buona» e la rabbia per «quella congrega d’imbecilli» che sobilla i giovani.
E il suo racconto profetico ambientato nel 1˚ febbraio 2008 di una società senile dove sono i vecchi a bastonare gli studenti, 40anni dopo il ’68 (magari erano gli stessi contestatori di allora; le cronache d’oggi parlano di terroristi pensionati...). A lui non interessava piacere alle mode e agli intellettuali, ma «sognava un solo traguardo: commuovere la gente che mi legge ». La gloriosa umiltà di un vero scrittore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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