Bychkov e la Filarmonica si ritrovano per Sostakovic

Il Concerto op. 82 di Glazunov precede la Sinfonia n. 7 composta a Lenigrado nel 1941

Elsa Airoldi

Nato in Russia, cittadino americano, residente a Parigi, marito di una franco-italiana, direttore principale a Colonia, Semyon Bychkov, cinquantenne pieno di grinta, fascino e passionalità, era arrivato alla Scala per Elektra, e il successivo sinfonico (la Decima di Šostakovic), nei giorni nei quali lo psicodramma stava raggiungendo il clou. Via tutti. Muti e Meli, Fontana e Confalonieri...
L'incontro di allora non poteva che ruotare, con prudenza, attorno al problema dell'orchestra. Insomma su temi scottanti che, sebbene insoluti, oggi scottano meno e lasciano un po' di spazio.
Il maestro aveva poi diretto quello Strauss primo amore da par suo. Con un tutto tondo lontano dal colorismo di Karajan, dalla stringatezza di Abbado, dall'analiticità di Reinert. Con una foga sapiente, consapevole delle dinamiche della partitura ma soprattutto dei suoi stacchi espressivi. Insomma con amore. Quasi con visceralità.
Bychkov, presto in cartellone con un titolo operistico da aggiungere a Tosca e Elektra, lunedì è ospite dalla Filarmonica della Scala. Sui leggii ancora Šostakovic, la Sinfonia n. 7 «Leningrado», preceduta dal Concerto per violino e orchestra in la minore op. 82 di Glazunov. Certo, ricorre il centenario della nascita. Ma perché ancora Šostakovic? Cos'è per lei, chi è lui, che accetta gli ukase del realismo sovietico? «Non è una domanda semplice, ma vediamo» risponde il maestro. E via, con tutto il convolgimento emotivo possibile. Šostakovic, dice Bychkov, racconta la vita del popolo. La sua è quasi musica di strada. Il pensiero della VII ce l'ha da tempo.
Non dobbiamo scordare il famoso articolo della Pravda che condanna la Lady Macbeth (e che risulterà scritto da Stalin in persona). Ma il caso vuole che metta mano al lavoro il 22 giugno del 1941. Un giorno («io sono nato a San Pietroburgo») felice per la città. Dove chi ha compiuto 17 anni, come allora i suoi genitori, festeggia la fine degli studi per tutta la lunga notte bianca. E progetta il futuro. Ma cadono le bombe. Gioia e angoscia vanno di pari passo. La VII lo dice. Quando nell'agosto è terminato il primo movimento Šostakovic chiama due amici per farlo ascoltare al pianoforte. Mette la famiglia a sicuro e suona e risuona incurante delle bombe. Quella musica è la vita. Sua e di tutta Leningrado. La prima, eseguita da un'orchestra messa assieme per sostenere la popolazione, avverrà il 15 marzo 1942, diffusa via radio. Anche i tedeschi riescono ad ascoltarla. E anni dopo qualcuno tornerà grato dal compositore. «Soffrivano tutti, fame e paura minacciavano tanto i sovietici che i nazisti. Non esistono genti nemiche».
Se Šostakovic aderiva al regime? Certo, ma senza condividerlo. Era una cittadino, un patriota obbediente. Chi preferisce Bychkov tra i due massimi esponenti della musica sovietica, Šostakovic o Prokofiev? Non ne fa una questione di qualità ma di feeling.
Nelle sue corde c'è Šostakovic, sin da quando era ragazzino. Prima della Leningrado il Concerto di Glazunov.

Musica diversissima, legata all'estetica nazionalista dei Cinque, ma scelta quasi doverosa. Glazunov, direttore del Conservatorio, è maestro e sostenitore (gli fa ottenere un sussidio speciale) di Šostakovic del quale intuisce prestissimo le potenzialità. Solista del Concerto la spalla Francesco De Angelis.

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