Un'ipotesi di vittoria, un governo tutto da fare e ancora un sacco di indecisi da convincere. Mancano ormai soltanto tre giorni alle elezioni politiche britanniche, i giochi avrebbero dovuto essere chiusi da un pezzo e invece questa campagna elettorale è finita a carte quarantotto. Certo, oggi si dà nuovamente quasi per scontato il successo dei conservatori contro laburisti e liberaldemocratici, ma il loro rampante leader David Cameron ha dovuto faticare non poco per aggiudicarsi il terzo round dei tre dibattiti televisivi e il primo posto negli ultimi sondaggi. Tutta colpa del liberaldemocratico Nick Clegg, inatteso terzo incomodo in una battaglia tra i soliti due contendenti.
Dopo un exploit mediatico che ha lasciato di stucco lo stesso Clegg, i tory hanno dovuto prendere a prestito il berlusconiano «contratto con gli elettori» per recuperare il vantaggio di mesi andato perduto nel giro di un paio di giorni, costretti a difendersi con le unghie e con i denti dal pericolo di un governo di minoranza che li avrebbe estromessi dalla guida del Paese benché vincitori. Pericolo che peraltro ancora esiste dato che, ad ogni modo, gli ultimi sondaggi danno i conservatori in vantaggio sui laburisti con uno scarto talmente risicato da non consentire - almeno non con il loro sistema elettorale, il maggioritario secco - ai vincitori di governare con una maggioranza netta. Sulle prime il Labour ha gioito vedendo in un governo di coalizione con i liberali l'unica via per far rimanere al governo Gordon Brown, ma hanno fatto i conti senza Clegg che nei giorni scorsi ha fatto sapere di essere disponibile a un'alleanza soltanto se sarà lui a fare il primo ministro. L'ennesima batosta per lo scozzese Gordon, regista del siluramento di Blair che adesso si vede abbandonato un po' da tutti, a partire dai giornali riformisti per eccellenza il Guardian e il domenicale Observer che l'hanno scaricato per Clegg definito «l'uomo del cambiamento». Se poi sia vero il leader liberale lo deve ancora dimostrare, dato che fino a ieri si è fatto ancora prendere alla sprovvista dalle domande di un ragazzino dodicenne in tema di assistenza e istruzione.
Certo è che i laburisti incarnano ormai agli occhi della maggior parte dei media un modo di governare che va cambiato. A prescindere dalla figuraccia fatta da Brown proprio negli ultimo giorni di campagna - ha commentato a microfoni ancora aperti l'incontro con una fedelissima elettrice definendola una fanatica e la signora ieri ha dichiarato al Mail on Sunday che si guarderà bene dall'avvicinarsi ai seggi giovedì prossimo - questo governo ha ormai perso la fiducia di molti dei suoi elettori e non è riuscito a conquistarne di nuovi con il suo programma elettorale troppo poco innovativo e fondato soprattutto sulle critiche ai programmi degli altri. Lo sostiene con forza perfino il Times, l'ultimo grande quotidiano a scaricare l'ombroso scozzese con tutto il suo partito. «Questo giornale ritiene che esistano dei principi che devono guidare ogni governo di successo - si leggeva infatti nell'editoriale - che sono meno statalismo e più efficienza, il sostegno alle aziende, la creazione di un liberalismo economico alleato ad una coscienza sociale. Ora il Labour di mister Brown ha abbandonato alcuni di questi principi e i tory si meritano un'opportunità di governo». Nell'ultimo dibattito televisivo, il più difficile perché incentrato sul tema più scabroso per tutti, l'economia, Brown ha perso ancora una volta perché non ha saputo offrire una soluzione concreta alla crisi mai rientrata. Per Cameron, che pur ieri in un'intervista ad Andrew Marr della Bbc ha ammesso di sentirsi ancora inadeguato sul fronte delle strategie economiche per il Paese, vincere il confronto è stato quasi uno scherzo da ragazzi.
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