C’è chi non ce la fa Da Amy Winehouse a Lily Allen le femmine perdute del pop

D’altronde la fama ha sempre un prezzo. E, banalmente, qualche volta non si è in grado di pagarlo, specialmente oggi che i ritmi e le pressioni del cosiddetto showbiz sono molto più difficili da sostenere di una volta. E poi l’età media del pop si è abbassata: ormai a sedici anni si è già carne da macello, discograficamente parlando. E perciò non c’è solo Amy Winehouse a lasciarci metaforicamente le penne. L’altro giorno è di nuovo finita in ospedale, stavolta alla London Clinic, senza potere neanche incolpare il solito abuso di droghe. A spedirla a letto sarebbe stata una reazione ad alcuni farmaci prescritti durante il programma di disintossicazione che faticosamente ha accettato di affrontare. Per questo - e il particolare la dice lunga sulla sua situazione - non ha potuto presentarsi all’udienza durante la quale i giudici hanno respinto l’appello avanzato dal marito, Blake Fielder Civil, condannato a 27 mesi per aggressione e frode processuale.
Insomma, finché le conseguenze del successo sono la bulimia o una vaga tendenza all’alcolismo come per Fergie, la cantante dei Black Eyed Peas, ci si può metter rimedio. Ma quando la situazione peggiora, allora è più difficile venirne fuori. Lo sa Lily Allen, una giovanissima cantante inglese che con «Smile» di due anni fa ha avuto un successo clamoroso e bruciante.

Sempre manifestamente ubriaca e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, dieci mesi fa ha perso un figlio concepito con l’ex fidanzato Ed Simmons dei Chemical Brothers. Ora è in cura dall’analista: «Vedo tutto nero», ha detto. E c’è da capirla, accidenti. PG

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