Gerusalemme - «Il Papa viene in Terrasanta innanzitutto per essere vicino ai suoi figli, ai cristiani, che vivono un momento difficile… ». L'arcivescovo Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele, è un diplomatico che sa sorridere e soprattutto non schiva le domande più difficili. A due giorni dall'annuncio del viaggio di Benedetto XVI, che visiterà questi luoghi il prossimo maggio, monsignor Franco spiega il significato della visita e rassicura i cristiani che nelle scorse settimane si sono detti timorosi per possibili strumentalizzazioni.
Perché il Papa viene in Terrasanta?
«Benedetto XVI ha spiegato che si tratta di un pellegrinaggio e che lo spirito della sua visita è squisitamente spirituale, non politico, anche se chiaramente verrà a contatto con i problemi che qui si vivono e dunque ci potrà essere anche questa dimensione nei suoi discorsi. Durante il viaggio incontrerà le autorità, il re di Giordania, il presidente dello Stato d'Israele, il presidente dell'Autorità palestinese, ma la sua attenzione sarà specialmente diretta alla Chiesa di Terrasanta, che l'aveva a suo tempo invitato. Il cuore del pellegrinaggio saranno le tre messe, a Gerusalemme, a Betlemme e l'ultima a Nazareth, a conclusione dell'anno della famiglia».
Ci sono stati cristiani che hanno scritto al Papa invitandolo a non venire in questo momento. Che cosa temono?
«Dei timori ci sono stati. Si teme che la visita possa essere in qualche modo strumentalizzata a scopi politici. Ma il Papa viene proprio per aiutare i suoi figli, per essere loro vicino in un momento di sofferenza».
A che punto è il lavoro della commissione bilaterale tra Santa sede e Israele per la definizione degli accordi riguardanti la vita concreta della Chiesa?
«La questione della restituzione del Cenacolo è difficile e delicata. Stiamo invece perfezionando l'accordo sul sistema fiscale e speriamo di stabilire i contenuti essenziali prima della visita del Papa, anche se forse non si arriverà in tempo alla firma. Ci sono molti altri problemi aperti, ma se aspettassimo la soluzione di tutti prima della visita, Benedetto XVI rischierebbe di dover aspettare anni».
Il Papa incontrerà i cristiani di Gaza?
«Ho chiesto al governo israeliano che una rappresentanza dei cristiani di Gaza, accompagnata dal loro parroco, possa essere presente a Betlemme, mi è stato assicurato che si farà. Così come mi è stato assicurato che sarà facilitata la partecipazione dei fedeli provenienti dalla Galilea e dai Territori alle messe del Papa: nel 2000, quando venne Giovanni Paolo II, vi furono delle difficoltà e molti rimasero delusi. Il governo ha detto che sarà possibile far venire cinquemila fedeli alla messa di Gerusalemme. Spero che si possa aumentare questo numero».
Benedetto XVI, il giorno del suo arrivo in Israele, andrà a Yad Vashem. Nel museo c'è esposta la controversa didascalia che presenta sotto una luce negativa Pio XII…
«Il Papa non entrerà nel museo, dove si trova la didascalia. Neanch'io vi ho messo piede, né ve lo metterò fintanto che la presentazione di Papa Pacelli rimarrà in quei termini. Benedetto XVI si recherà invece al memoriale della Shoah, e credo sia importante che tutti coltivino la memoria di questa immane tragedia, anche come insegnamento per l'avvenire».
Lei crede che quel testo sarà cambiato?
«Io credo nella buona fede della direzione di Yad Vashem e spero che sia possibile formulare una didascalia che non sia ispirata da pregiudizi o da una documentazione storica incompleta. Ma bisogna lasciare agli storici il tempo di lavorare».
Il caso Williamson, che ha provocato incomprensione e polemiche tra Vaticano e mondo ebraico, si può considerare
«Penso proprio di sì. È stato ripetuto con grande chiarezza che un cattolico non può negare la Shoah e le parole inequivocabili usate da Benedetto XVI credo non possano lasciare spazio ad alcun dubbio».
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