«C’era un piano per colpire la metropolitana di Milano»

In Corte d’Assise il terrorista Zouaoui Chokri rivela la strategia contro le stazioni Duomo e Centrale

Roberto Bonizzi

da Milano

L’orrore dietro il paravento. Zouaoui Chokri, pentito della cellula terroristica islamica cremonese, ripete in aula, davanti alla prima Corte d’assise di Milano, il piano della «Brigata del Profeta», confermando tutto quello che ha già detto nel corso delle indagini preliminari dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Brescia. Conferma che i militanti del gruppo marocchino combattente stavano progettando una serie di attentati nell’inverno 2002. Duomo di Cremona, stazioni della metropolitana Centrale e Duomo e Questura di via Fatebenefratelli a Milano. La lista degli obiettivi è precisa. In più i terroristi hanno stilato un elenco dettagliato delle armi da utilizzare e delle modalità pensate per gli attacchi.
Chokri, trentenne tunisino in carcere dal 13 settembre 2002 per spaccio di droga, viene ascoltato dai magistrati nel processo in cui sono imputati sei presunti terroristi islamici, tra cui lo sceicco Abderrazak, considerato uno dei reclutatori di kamikaze di Al Qaida in Europa. La decisione di collaborare con la giustizia è del 12 ottobre 2002, annunciata con una lettera alla direzione del carcere di San Vittore: «Non voglio sconti di pena, voglio solo salvare vite umane». Chokri, pentito considerato attendibile dai Ros, inizia a parlare dei contatti con gli estremisti del gruppo marocchino combattente avvenuti sin dal 1999, prima nella moschea di viale Jenner a Milano e successivamente nel centro islamico di Cremona.
Il tunisino spiega di far parte di una cellula terroristica dormiente che inizialmente si occupa di trovare finanziamenti e di arruolare nuovi adepti alla causa jihadista. «Facevamo rapine agli spacciatori di droga. Rapinavamo gli spacciatori albanesi per autofinanziarci» racconta Chokri. Quindi passa a illustrare il «salto di qualità» con il piano di attacco, che avrebbe dovuto avere luogo il 27º giorno del Ramadan di tre anni fa, il 2 dicembre 2002. «Abbiamo scelto il Duomo di Cremona perché rappresenta un simbolo per i cristiani e anche perché - prosegue -, essendo ubicato in una posizione molto centrale, soprattutto nelle ore serali è molto frequentato». Nella confessione il pentito chiarisce le modalità dell’attentato, pianificato nella moschea cremonese di via Massarotti su indicazioni di Mourad Trabelsi, imam della città del Torrazzo. I terroristi pensano di utilizzare una Renault 14 verde imbottita di esplosivo «C4», fatto arrivare da Firenze. L’autobomba doveva restare nascosta all’interno degli ex «solai Varese», un’area dismessa di oltre 2mila metri quadri in via del Sale, nelle vicinanze del centro islamico.
Lo stesso giorno, contemporaneamente all’azione del «portinaio del Duomo di Cremona», a Milano si sarebbe mosso «l’uomo delle pulizie della metropolitana». Un’altra frangia della cellula del gruppo combattente marocchino avrebbe concentrato l’attacco nelle stazioni del metrò Centrale e Duomo, «scelte - dice Chokri - perché particolarmente affollate. Si possono fare almeno 250 morti». E il tunisino indica ai magistrati pure la «santabarbara», una cascina abbandonata tra l’aeroporto di Linate e viale Forlanini, dove dovevano essere custoditi armi ed esplosivo. Ma gli inquirenti, come già i colleghi di Cremona, all’interno delle basi logistiche non trovano nulla.
L’ultimo assalto viene pensato per colpire uno dei simboli di Milano, la Questura. Questa volta a ispirare l’operazione sarebbe «Kemal», Ben Rachid Ben Yahia, tunisino trentenne arrestato lo scorso anno a Milano che in passato si è dichiarato appartenente ad Al Qaida. Questa volta gli estremisti pensano di servirsi di kamikaze. I terroristi dovevano impossessarsi di una volante della polizia alla Barona, un quartiere periferico di Milano.

Poi, neutralizzati gli agenti, «due imam dagli occhi chiari vestiti con le divise della polizia», aggiunge Chokri, si sarebbero diretti con la «pantera» carica di esplosivo «Tm» verso l’obiettivo sensibile, con a bordo anche un altro «martire», nei panni di un arrestato. Pronti per colpire l’Italia, «per punire quel cane di Berlusconi e il suo appoggio alla guerra degli Usa».

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