C’era una volta l’Europa, così comincia la nuova favola

Caro Granzotto, rispondendo che, non avendo intenzione di rinunciare alla sua Finanziaria, rifiuta di rispettare gli accordi europei sulla riduzione del deficit, Prodi mette l’Italia fuori dall’Europa e lo fa di proposito e con molta pubblicità. Ma come si spiega che al tempo del governo delle destre «uscire dall’Europa» era considerato, da Prodi e da tutta la sinistra, un crimine? E poi, detto francamente, ha ancora un senso oggi parlare dell’Europa?

Per parlarne se ne può sempre parlare, caro Dolci, ma così come si raccontano le favole ai bambini: «C’era una volta...». Prodi ha fatto benissimo a mandare a quel paese l’Europa, gli accordi di Maastricht e di Berlino, il Patto di stabilità e tutte le altre menate eurolandiche. Che se osservate pedissequamente porterebbero alla rovina il più solido e prospero degli Stati, come d’altronde hanno capito, da quel dì, Francia, Inghilterra e almeno altri undici governi comunitari. Un po’ tardi - ma bisogna aver pazienza: testa quedra non è esattamente quello che si definisce un fulmine di guerra - finalmente c’è arrivato anche lui. Facendosene un baffo delle rampogne di Joaquin Almunia, Romano Prodi ha in sostanza lanciato un siluro antieuropeista di grosso calibro affermando il primato dell’interesse nazionale su quello comunitario che ci vorrebbe nudi alla meta. Ma chissà quanto gli è costato.
Già, perché Prodi è lo stesso che, rifilandoci l’euro, sosteneva - con torme di bravi connazionali a ripetere, belando: «È vero, è vero, Dio come è vero!» - che euro più Maastricht più Patto di stabilità ci avrebbero fatto rigar dritto, ci avrebbero fatto tedeschi nel rigore delle nostre Finanziarie, francesi nella religione del servizio allo Stato e scandinavi nell’orrore per gli sprechi. L’Europa europeista, andava raccontando Prodi, avrebbe avuto l’effetto della mitica fonte in grado di restituire la verginità alle fanciulle che per fugace capriccio l’avessero perduta. Così noi, dissetandoci al pozzo di Eurolandia, da lazzaroni quali siamo, ci saremmo ritrovati «europei», che chissà perché è diventato sinonimo di perfezione, di elevatezza civile, politica e morale. Peccato che a berla, l’acqua di quella fonte, si andava anche in malora: con rigore, europeisticamente, ma sempre in malora. Ecco per qual motivo ad un euroscettico, o meglio ad un euro ostile come me, dà una certa soddisfazione vedere Prodi liquidare le istituzioni europee con espressioni che riecheggiano il «vaffa» di Beppe Grillo.

Perché se uno che dell’Europa è stato un Gran Visir e che con l’Europa ce li fece a peperino si prende simili libertà significa proprio che la sirena della patria comune col suo carico di magniloquenti, ampollosi ideali, princìpi e valori (condivisi, va da sé) ha smesso di cantare. Cosa vuole che le dica, caro Dolci? Ce ne faremo una ragione.

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