Laura Novelli
Aveva poco più di ventanni quando, in piena seconda guerra mondiale, venne catturato dai tedeschi insieme con altri ufficiali dellesercito e trasportato in alcuni campi di lavoro in Germania. Lesperienza apparterrebbe semplicemente alla storia intima e personale di una uomo come tanti se non fosse che, proprio durante quel periodo di prigionia, Gianrico Tedeschi si avvicinò al teatro per la prima volta e, con la casualità che spesso indirizza le nostre scelte e le nostre inclinazioni, dette il via alla sua ricca carriera dattore.
Un attore elegante, raffinato, mai eccessivo, mai sopra le righe; capace sempre di estrema misura e di straordinaria umiltà. Persino quel debutto artistico così anomalo lui si limita a definirlo «particolare», anche se già da diversi mesi gira la penisola con uno spettacolo, intitolato Smemorando. Magazzeno dei ricordi di Gianrico Tedeschi, che prende le mosse proprio da quel ricordo, da quel pezzo di esistenza, per costruire un viaggio a ritroso negli anni («ma per favore non chiamatelo recital») votato a ribadire il valore insostituibile della memoria e la necessità, oggi più che mai, di esercitarla nella vita come nellarte.
Lo spettacolo, diretto da Gianni Fenzi e atteso per il 3 gennaio al teatro Manzoni, nasce dunque dal desiderio di tracciare unautobiografia che rivolga il suo sguardo anche agli altri, alla storia collettiva, alle trasformazioni di un Paese, alla società. «Il tutto - spiega Tedeschi - attraverso la lente del teatro. Ho passato cinquantanni sul palcoscenico e sono ancora convinto che la poesia della scena possa salvare luomo dall'aridità e dall'autodistruzione». In fondo, la stessa vicenda del suo debutto durante la prigionia bellica, mentre le atrocità del nazismo si accanivano contro lUomo, suona molto emblematica in tal senso. «Nei nostri campi non si verificò quanto successe altrove. Non si trattava di campi di sterminio bensì di semplici campi di lavoro. Mi ritrovai internato con altri ufficiali che erano degli intellettuali già affermati o dei promettenti studenti e il nostro compito era quello di organizzare attività culturali di vario genere. Con me cerano, ad esempio, Natta, Guareschi, il filosofo Enzo Paci e il critico teatrale Roberto Rebora». Fu proprio Rebora a indirizzare Tedeschi verso il teatro e dopo le prime prove («recitavamo classici come Spettri o lEnrico IV») a consigliargli di fare lattore. Senza quellincontro, senza quella «particolare» circostanza dellinternamento, probabilmente Tedeschi non sarebbe Tedeschi.
E oggi non lo ritroveremmo sul palco, giovane più che mai, a recitare Carducci, Cardarelli, Giusti, Manzoni, Dante, DAnnunzio in una carrellata di bella poesia («già nei campi mi dedicavo spesso a letture poetiche») che si alterna qui con passi più prettamente teatrali: «Durante la pièce racconto le cose che ho fatto in mezzo secolo di professione e mi soffermo in particolare su Il Timone dAtene di Shakespeare, Lopera da tre soldi di Brecht, per finire con un Cechov». Ad accompagnarlo in scena cè la giovane figlia Sveva, attrice anchessa (con tanto di diploma allAccademia Silvio DAmico) che rappresenta una sorta di deuteragonista canora chiamata a sottolineare alcuni passaggi del lavoro. «Sveva è molto brava - prosegue lattore - e mi trovo bene a lavorare con lei. In questo spettacolo ha però un ruolo un po limitato; non recita ma canta dei brani melodici (ha studiato anche al Conservatorio e possiede davvero una bella voce) che fanno da sfondo ai miei ricordi e alle mie parole».
Nel complesso, insomma, questa nuova fatica dellattore lombardo si preannuncia come un omaggio alla vita e al teatro sostenuto da una strenua fiducia nellarte e nella poesia.
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