Guido Mattioni
C’è un postino misterioso che si sposta dal Piemonte alla Lombardia. Non suona. Non si fa nemmeno vedere. Infila le buste nelle buche delle lettere e scompare nel nulla. Lo ha fatto già due volte e il mittente, insomma «chi lo manda», è sempre lo stesso: Emiliano Santangelo, il trentatreenne originario di Catania, ma residente a Carema (Torino), finito in carcere con l’accusa di avere assassinato con quindici coltellate Debora Rizzato, la ragazza di Cossato (Biella), trovata cadavere nel parcheggio della fabbrica dove lavorava il 22 novembre dello scorso anno.
Un delitto che l’uomo, ora in cella a Genova, città dove è stato arrestato al termine di una brevissima fuga, avrebbe commesso per vendicarsi del periodo di detenzione fatto dopo una condanna per la violenza sessuale subita e denunciata dieci anni prima da Debora. Un’accusa che la ragazza e la sua famiglia avevano continuato a sostenere con coraggio, nonostante le ripetute minacce ricevute da Santangelo. La prima lettera, come già reso noto dal Giornale il 10 dicembre scorso, era arrivata ai genitori di Debora nella loro abitazione di Cossato, ed era stata amplificata dal programma televisivo La vita in diretta, che l’aveva ricevuta dalla sorella della vittima. Un testo delirante in cui Santangelo, rivolgendosi a Debora come fosse ancora viva, scrive: «Non è vero che ti ho ucciso, perché ti ho visto in tv, su Canale 5, mentre facevi una sfilata». Santangelo, che in tal modo sembra lucidamente cercare di farsi passare per folle, proseguiva così: «Perché i giornali dicono che ti ho uccisa? Perché dicono che sei in cielo?». E nella busta aveva infilato anche un’immagine sacra, con la sua spiegazione: «Perché tu, Debora, sei una santa».
Ma perché parlare proprio di un postino misterioso? Perché quella missiva, priva com’era di timbro postale, era stata evidentemente consegnata a mano da qualcuno. Proprio come la seconda, ancorché inutilmente affrancata come Posta prioritaria, e finita sul tavolo di Giuseppe Biselli, direttore responsabile del settimanale Cronaca vera, di cui in questa pagina pubblichiamo uno stralcio.
«Anche quella indirizzata a me è senza timbro postale, ma Santangelo l’ha datata di suo pugno, nell’intestazione, 12 dicembre - racconta il giornalista -. A me è arrivata il 15. Ed è evidente che anche in questo caso si è trattato di una consegna fatta a mano». La missiva, scritta con una calligrafia comprensibile e in un italiano migliore del prevedibile, è ovviamente infarcita di turpiloquio. E contiene anche minacce nei confronti di Biselli e della sua redazione. «In un buco schifoso fino alla fine dei vostri giorni ci dovete finire voi, per lucrare sulle disgrazie degli altri, ingigantendo le cose, dei fatti», scrive Santangelo. Che riferendosi poi al cronista autore di un articolo sulla sua vicenda aggiunge: «Il "giornalista" Gilberto Pozzo, quando esco vengo a prendere un caffè a casa sua, così gli insegno l’educazione».
Ma è soprattutto il denaro ricavabile da un eventuale risarcimento - «Vi farò causa e richiesta danni morali appena si calmano le acque», scrive infatti Santangelo - ciò che sembra stargli più a cuore.
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