da Roma
Una confidenza fatta a un collega o un segnale colto da chi gli lavorava fianco a fianco tutti i giorni. Sono gli elementi utili a dare un perché al suicidio di Adamo Bove, il responsabile della Security governance di Telecom che venerdì scorso si è lanciato nel vuoto dalla tangenziale di Napoli, che potrebbero essere emersi dagli interrogatori di ieri. La polizia postale, su delega del pm partenopeo Giancarlo Novelli, ha interrogato, in qualità di persone informate sui fatti, alcuni colleghi dellex poliziotto. Lipotesi più accreditata dagli inquirenti - che indagano contro ignoti per il reato di istigazione al suicidio - è che Bove si sia tolto la vita perché sconvolto dallidea che la sua collaborazione con la polizia per lindagine sul sequestro di Abu Omar, o le informazioni fornite ad altre procure, potessero aver compromesso il suo futuro professionale in Telecom. Così, mentre oggi a Santa Chiara nel centro di Napoli verranno celebrati i funerali di Bove, ieri alcuni tra gli uomini Telecom più strettamente a contatto con lui hanno messo a verbale la loro verità. Non è ancora chiaro se siano emerse vere e proprie conferme alla versione dei dirigenti dellazienda, fermissimi nello smentire che intorno a Bove si fosse fatta terra bruciata per le sue relazioni con le istituzioni, o se invece siano giunti riscontri al sospetto che il responsabile della sicurezza si sentisse emarginato, psicologicamente provato perché prossimo a un siluramento per aver «violato» - anche se per collaborare con le procure - i segreti della propria azienda, rivelando ai magistrati tabulati e altri dati sensibili.
Novelli oggi ascolterà Guglielmo Bove, fratello di Adamo, anche lui in Telecom come responsabile dellufficio legale.
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