«Testa: vivi. Croce: muori». Domino aveva tutto dalla vita compresa la voglia maledetta di giocarsela per niente. La bellezza l'aveva presa dalla mamma, Paulene Stone, top model di Vogue, la voglia di stupire da papà Laurence Harvey, attore, bravo, bello, stimato. Era nata nei quartieri alti di Londra, ma non si era mai sentita una di loro, è morta in un appartamentino sopra un garage dalle parti di Los Angeles, tra riviste per mercenari e fucili AK-47. Domino Harvey aveva due anime, di giorno sfilava in passerella, di notte inseguiva spacciatori, assassini e ladri.
Ne aveva catturati una cinquantina di fuggitivi, tutto merito della mia amica Betsie, diceva, l'unica amica che ho, unapistola Browning che non tradisce mai. Domino non voleva essere come tutti gli altri, sembrava una dura, ma chiedeva aiuto. Era cresciuta a Londra, nell'aristocratico quartiere di Belgravia, con la sorellastra Sophie maggiore di cinque anni, la sua casa era piena di lussi e di star del cinema, ma papà morì all'improvviso quando lei aveva solo quattro anni, non volle mai più parlare di lui con nessuno. Scappa anche dal college adolescente, vuole fare la modella, fuggire comunque. Dice la mamma: «Non aveva paure, né remore, né timore dell'autorità. Non aveva freni inibitori». Con lei si trasferisce a Los Angeles. Si improvvisa rancheros, dj, vigile del fuoco. Look ambiguo, testa spesso rasata, non sa più nemmeno lei chi è. Poi l'illuminazione, cacciatrice di taglie, collezionista di primule rosse. Guadagna 40mila dollari l'anno, ma le importa solo tenere come parte della ricompensa la droga rinvenuta nelle case delle prede. È una bambina sbagliata sposata a una causa giusta.
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