La caciotta italiana? Rischiamo di perderla

I paradossi del latte: se ne consuma il doppio di quanto se ne possa produrre, ma la produzione non può aumentare perchè è vincolata dalla rigidità delle quote. «Il fabbisogno è di 20 miliardi di litri - spiega Giuseppe Ambrosi, presidente dell’Assolatte - ma le stalle italiane ne forniscono solo 11 miliardi. Il resto viene da Francia, Germania, Austria, Paesi che invece beneficiano di un surplus di produzione». Assolatte è l’associazione di categoria aderente alla Confindustria, cui sono iscritte 2.000 aziende - dalle multinazionali alle piccole imprese - con 25mila dipendenti, un fatturato di 14,5 miliardi, per il 10% proveniente dall’export. Il comparto - il più grande nell’ambito del settore alimentare - trasforma la materia prima-latte in latte per il consumo, fresco e a lunga conservazione, yogurt, burro e soprattutto formaggi. Oggi il settore lattiero caseario italiano è alle prese con due proposte normative che, se approvate, ne potrebbero minare la competitività sul mercato nazionale e internazionale. Chiediamo al presidente di illustrarcele.
«Sono contenute in un decreto del ministro delle Politiche agricole che è in attesa delle autorizzazioni di Bruxelles - spiega Ambrosi -. La principale è la richiesta di indicare in etichetta la provenienza delle materie prime dei prodotti lattiero caseari. Questo significa che i formaggi italiani dovrebbero “denunciare” la quantità di latte straniero che contengono, con le percentuali per Paese di provenienza. Con due conseguenze gravi: superiori costi derivanti dalla rigidità negli approvvigionamenti che questo comporterebbe, e un danno d’immagine non insignificante. Il “made in Italy” riguarda il processo di produzione, non l’origine delle materie prime, che sono frutto della selezione, delle scelte, dell’esperienza del produttore. Un formaggio italiano è tale perchè viene lavorato in un certo modo, non perchè contiene latte solo italiano».
Diverso è il caso dei formaggi a denominazione d’origine protetta.
«Per questi, che rappresentano la fascia alta del mercato, con parmigiano reggiano, grana, gorgonzola, provolone in prima linea, la legge impone l’uso di latte italiano, proveniente dalle zone di appartenenza».
Ma il latte è sufficiente?
«Per le produzioni Dop sì. Ma il sistema delle quote è penalizzante. Due numeri sono eloquenti: nel 1980, quando furono stabilite le quote, l’export di formaggio italiano era di 32mila tonnellate. Oggi, con le stesse quantità, è di 230mila; le quote sono aumentate del 5%, l’export del 630%».
Qual è l’altra norma che vi preoccupa?
«Il divieto di aggiungere proteine e caseina nella lavorazione del latte; sono componenti utilizzati a livello industriale per dare un risultato costante e standardizzare la qualità del prodotto. In Europa il loro utilizzo è stato liberalizzato, da noi lo si vuole vietare. Gli altri Paesi si fregano le mani perchè questo farebbe fare all’industria italiana un passo indietro in termini competitivi. Molte imprese potrebbero delocalizzazione perchè sarà più conveniente andare a fare gli stessi prodotti in altri Paesi, e da qui commercializzarli in Italia; ma perdendo occupazione ed export. Entrambe le norme restrittive - origine e componenti - sono rivolte solo al nostro Paese».
Che cosa fa Assolatte per difendere i propri associati?
«Stiamo organizzando un’opposizione a livello europeo, ma siamo soli, appunto.

Si rischia di capire l’importanza di queste cose quando le imprese saranno costrette a licenziare, per fallimento o delocalizzazione. Un giorno gruppi di lavoratori saliranno su qualche tetto, e solo allora attireranno l’attenzione delle tv».

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