Quella di Pannella contro la pena di morte è certamente una battaglia, laica e cristiana, sacrosanta. Non mi piace, invece, la dialettica di Pannella che saluta le ragioni dell'avversario, senza rispetto, giudicandolo prezzolato, come se soltanto lui, con i suoi gesti e le sue scelte spettacolari, fosse degno di essere ascoltato, indiscusso e indiscutibile oracolo, anche per la purezza della sua vocazione.
I soldi fanno schifo fino al momento in cui le segreterie del «suo» partito con diversi nomi, ma con un solo padrone, ti chiedono l'obolo, quale che sia la tua appartenenza, perché loro, naturalmente, sono sempre sopra, per le note battaglie ideali, che uniscono uomini di fede diversa. Ovviamente, tra queste vi è quella contro la pena di morte e i radicali di Pannella costituiscono e sostengono l'associazione «Nessuno tocchi Caino», talvolta dimenticando le ragioni di Abele, come nel caso di Saddam Hussein. Celentano ora aggiunge il suo prestigioso nome a questa benemerita impresa, ma, secondo Pannella, non dovrebbe aver titolo a parlare, perché le sue memorabili dichiarazioni televisive, su argomenti di vita civile, sono state lautamente compensate sul piano professionale.
Da questa posizione deriva che ogni intervento di Lerner, Biagi, Santoro, giornalisti televisivi e opinionisti, ma anche di Scalfari, di Bocca, di Galli della Loggia, di Folli, non vale, non merita di essere discusso, non ha dignità, perché remunerato. Anche Celentano, dalla sua ben tutelata posizione, è ricattato su questo punto, se per darmi ragione è costretto a presumere che io non abbia preso una lira, per apparire in televisione, e che quella di Pannella sia una «inutile malignità». Infatti, ciò che Pannella ha detto di me poteva, con disprezzo, dire di lui e di qualunque sua, anche nobilissima, esternazione televisiva. Cosa conta, rispetto a quanto dice Celentano, che un suo articolo sia pagato o meno? Anche per questo elementare diritto a non essere ricattato da Pannella, mi dispiace non essere stato pagato. E aggiungo che i compensi che ho ricevuto, in passato, sono in larga misura finiti in querele, consentendomi il lusso di dire ciò che pensavo.
Nel mio caso, l'insinuazione di Pannella è doppiamente grave, perché questo argomento non lo userebbe contro Scalfari o contro la Bonino, che è pur stipendiata lautamente per fare il suo lavoro di ministro. Anche Pannella è pagato per fare il deputato al Parlamento Europeo, con conseguenti e coerenti presenze nelle tribune televisive che emanano da quel ruolo. Per tutte le sue posizioni politiche, Pannella percepisce, di sole indennità e contributi parlamentari, non meno di 400mila euro all'anno. E allora, come si permette un argomento così offensivo e contraddittorio, affrontando temi sui quali ognuno ha diritto di esprimere un suo pensiero? Quanto al merito, vorrei semplicemente dire a Celentano che io, come lui e come molti italiani, condivido i principi di Pannella, ma non la scelta di quel simbolo contro i diritti di autodeterminazione di un popolo e le decisioni di un tribunale che lo rappresenta, in un Paese nel quale è prevista la pena di morte. E se essa viene eseguita, nell'assoluta indifferenza di Pannella, per un criminale comune, non si capisce perché, dopo un regolare processo, non debba essere applicata al responsabile di tanti delitti, di innumerevoli assassinii, di genocidi. Mussolini non c'entra, se non per soggiungere che gli americani, come non intervennero per favorire o ostacolare l'esecuzione del dittatore italiano, non sono intervenuti, dopo averlo fatto cadere, per favorire o ostacolare quella di Saddam Hussein, che, per quanto orribile rispetto alla persona e nei modi, rientra perfettamente nella ragion di Stato. Quella per cui, nel fare il dittatore sanguinario, c'è il rischio di impresa di cadere e di essere condannati a morte. Piaccia o non piaccia a Pannella, che non risulta abbia fatto lo sciopero della fame e della sete contro la pena di morte regolarmente applicata in quegli Stati Uniti che egli indica come modello di democrazia, avendo fra l'altro pervicacemente sostenuto l'intervento americano in Irak.
Perché si sveglia adesso, commosso dal destino di Saddam Hussein e non da quello dei giustiziati in Irak il giorno prima e, in America e in Cina, senza pentimenti e moratorie, anche in questi giorni? Questo volevo dire: che tutti gli uomini sono uguali, umili e potenti; che è giusto essere contro la pena di morte, così come in Italia e in Europa ci ha indicato, ben prima di Pannella, e senza scioperi della fame e della sete, Cesare Beccaria; e che dobbiamo rispetto alle norme e alle decisioni di un Paese in guerra civile come l'Irak, come hanno preteso gli italiani (e i partigiani) dopo la caduta del Fascismo. Il resto è retorica umanitaria, favorita dalla televisione e dalla ripulsa per ogni assassinio, soprattutto se ostentato esemplarmente e oscenamente con la pena di morte.
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