Cala il potere d’acquisto, risparmi in crescita

RomaNei mesi più difficili della crisi - dall’ottobre 2008 al settembre 2009 - le famiglie italiane hanno ridotto spese e investimenti, ma è aumentata la loro propensione al risparmio. Un atteggiamento comprensibile, di fronte alle incognite dell’economia. Nello stesso periodo il potere d’acquisto delle famiglie, misurato come reddito disponibile in termini reali, è diminuito dell’1,6% rispetto ai dodici mesi precedenti. È proseguita anche la flessione del tasso d’investimento (abitazioni per le famiglie e investimenti strumentali delle piccole imprese).
Si tratta di dati che - si afferma in una nota del ministero guidato da Renato Brunetta - confermano la sostanziale tenuta dei redditi dei dipendenti, mentre si contrae il potere d’acquisto dei lavoratori autonomi. «La crescita media delle retribuzioni nei primi 11 mesi del 2009 è stata del 3,1%: la riduzione del reddito non si riflette, quindi, sui salari reali». Brunetta ricorda inoltre che la diminuzione del reddito disponibile dell’1,6% si confronta con un calo del prodotto interno lordo del 4,9%. Ecco perché i redditi hanno tenuto.
Nell’elaborazione di questi dati, l’Istat considera come «famiglie» anche le imprese individuali, le società semplici fino a 5 addetti, i liberi professionisti. E i profitti delle imprese sono in calo. Fra ottobre 2008 e settembre 2009 la quota di profitto delle società non finanziarie si è attestata al 40,9%: meno 2% rispetto ai dodici mesi precedenti. Il tasso di investimento delle stesse società è risultato del 22,3% nel terzo trimestre 2009, oltre tre punti in meno rispetto al terzo trimestre 2008.
Prudenza, timori per il futuro, tradizionale propensione a comportamenti da «formichina» hanno dunque spinto le famiglie a ridurre consumi (-1,5%) e investimenti (-0,8%), mentre è aumentato il risparmio (+0,4%). Secondo i sindacati e le associazioni dei consumatori, i dati medi dell’Istat nascondono situazioni più critiche per quanto riguarda i redditi più bassi da lavoro dipendente e da pensione.
Le cifre dell’Istat confermano l’urgenza della riforma fiscale. Uno studio della Camera di commercio di Monza e della Brianza mostra che il passaggio alle due aliquote (23 e 33%) ipotizzate nel libro bianco del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, potrebbe creare, grazie alla maggior quota di reddito destinata ai consumi, circa 90mila posti di lavoro, concentrati in Lombardia, Lazio e Veneto. Nella sola Lombardia la riforma significherebbe, oltre a 18mila nuovi posti di lavoro, la diminuzione del 25% delle famiglie che si indebitano. I sindacati chiedono un incontro urgente col governo per far partire la discussione. La Cgil, in una lettera a Silvio Berlusconi, propone un taglio di 20 miliardi in tre anni. La Cisl auspica una «sterzata» del sistema fiscale da attuarsi con il contributo dell’opposizione.

La Uil domanda una riduzione del carico sul lavoro, (è un po’ l’idea di Tremonti con lo spostamento del prelievo «dalle persone alle cose»). Per il segretario Angeletti, più che sulle aliquote bisognerebbe agire sulle detrazioni, «scontando» 5mila euro per ogni figlio a carico.

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