Calabria, quei 10mila forestali «troppo vecchi per lavorare»

L’assessore regionale Pirillo: molti sono over 50, non sono idonei a gestire gli spegnimenti. Il vescovo di Locri: «Scomunica per i piromani»

da Milano

Non c’è estate senza incendi in Calabria, non c’è incendio in Calabria senza polemiche sui forestali, un «esercito» di 10mila operai, molti over 50 e «troppo vecchi per spegnere incendi», come ammette anche l’assessore regionale.
Il «vizio d’origine» risale agli anni ’60. «Allora - spiega un dirigente del Corpo forestale - per motivi di conservazione idrogeologica lo Stato si fece carico del rimboschimento di alcune aree, anche private, tramite i Consorzi di bonifica, la Cassa del mezzogiorno e altri enti». Poi il fenomeno crebbe, gli stagionali toccarono quota 40mila negli anni ’80. E lì nacque il sospetto che alcuni «precari» appiccassero incendi dolosi per aumentare le giornate-lavoro e gonfiare i propri compensi.
Ma quanti sono oggi i forestali in Calabria? Secondo l’assessore regionale all’Agricoltura Mario Pirillo sono «9.600, tutti assunti a tempo indeterminato con contratto di lavoro idraulico-forestale». Dipendono dall’Afor (Azienda forestale regionale), una società commissariata da tempo (nel 2004 il leghista Roberto Calderoli si offrì di gestire l’operazione, poi non se ne fece nulla) e costano circa 240 milioni di euro, di cui 80 a carico della Regione. Senza contare, denuncia il sindacalista Carmelo Nucera, che «mancano 80 milioni di euro tra contributi previdenziali non versati all’Inps dall’Afor e Tfr non accantonato». Il governo Prodi nella Finanziaria lacrime e sangue approvata a fine 2006 ne stanziò 160. «Le nostre ragioni sono state accolte», dichiarò allora il governatore della Calabria, Agazio Loiero.
Finora il «passaggio» degli operai a Provincie, Consorzi di bonifica e Comunità montane non è avvenuto. I soldi servono a malapena a pagare gli stipendi, ci vorrebbero altri fondi per «riconvertire» gli operai a netturbini o ad altre mansioni, ma ovviamente non ci sono. E poi, perché investire risorse visto che, come sottolinea lo stesso Pirillo, «molti operai hanno un’età superiore a 50 anni, e spesso non sono idonei a fare lavoro di spegnimento». Anche i sindacati sono contrari: «Bisognerebbe sciogliere tutti gli enti e creare un unico soggetto regionale sotto l’ombrello della Regione», sostiene Nucera.
E dire che la Regione aveva anche cercato di «ringiovanire» l’esercito di forestali. Nella primavera del 2004 al corso di formazione per 1.200 posti di operaio forestale si presentarono in 80mila. Troppi, anche perché sindacati e sinistra misero in relazione la tornata di assunzioni con le scadenze elettorali ravvicinate (Europee 2004, Regionali 2005 e Politiche 2006). E non se ne fece più niente.
La soglia «politica» del numero massimo di forestali è stata comunque fissata a poco più di 10mila unità. Un tetto previsto dai parametri Ue, infatti, che individua in massimo 57 ettari (circa 75 campi regolamentari di calcio, nda), il «territorio d’azione» di ogni operaio. Visto che la Calabria ha 600mila ettari di area boschiva, il calcolo è presto fatto. Nonostante lo spiegamento di forze, però, ogni anno in Calabria gli incendi mandano in fumo 20mila ettari di bosco. Solo quest’anno i roghi sono stati 761. In Trentino Alto Adige, che vanta una superfice boschiva pari a quella di Calabria e Sicilia messe insieme, c’è la percentuale più bassa d’incendi. E lì gli operai forestali sono poco più di mille.
Se il vescovo di Locri, Giancarlo Maria Bregantini, arriva a ipotizzare la «scomunica» per i piromani, guai a dare la croce ai forestali: «Sono molto vituperati - si difende l’assessore - ma sono sempre in prima linea nelle occasioni più delicate». «Basta un pastore che vuole rinnovare il pascolo per il suo gregge - ammette il dirigente della Forestale - che incurante del pericolo dà fuoco alle sterpaglie, il vento e la scarsa manutenzione delle strade boschive fa il resto».
A poco o nulla è servita la legge 353 del 2000, che prevede la mappatura catastale per le zone incendiate, e il vincolo di 15 anni al cambio di destinazione d’uso.

«C’è un business dietro il rimboschimento», commenta sarcastico il dirigente. Se è vero che ci vogliono dai 60 ai 100 anni per «rimpiazzare» i boschi distrutti dal fuoco, allora «c’è lavoro per tutti e per sempre».
felice.manti@ilgiornale.it

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