Calata degli stranieri e polo veronese

Calata degli stranieri e  polo veronese

da Milano

Alimentare e made in Italy: un binomio riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Ma in realtà, molto spesso i marchi storici dell’alimentare italiano, appartengono a gruppi stranieri. Solo nell’ultimo anno sono state sette le acquisizioni di aziende del nostro Paese da parte di operatori d’oltreconfine: tra le più note ricordiamo i salumi Fiorucci acquisiti dal fondo Vestar, la Birra Peroni acquistata da SabMiller, l’olio Carapelli passato agli spagnoli di Sos Cuetara e il marchio di prodotti per l’infanzia Mellin ceduto agli olandesi della Numico. Senza dimenticare il caso Galbani, ritornata in mani francesi per la seconda volta: dopo la gestione Danone, a cavallo fra il 1989 e il 2002, la storica azienda milanese è stata ceduta nel marzo scorso dal fondo di private equity BC Partners a Lactalis, colosso alimentare d’Oltralpe.
Una situazione che gli analisti imputano anche alla frammentazione del settore, accentuatasi dopo il crollo dei «giganti malati» Parmalat e Cirio. Secondo una recente ricerca di Kpmg, su 6700 imprese alimentari nel nostro Paese ben 6500 sono di dimensione piccola o piccolissima, con meno di dieci addetti: colossi come Ferrero e Barilla rappresentano eccezioni, per quanto significative.
Gioca però a favore un’altra caratteristica tutta italiana, quella dell’aggregazione su base territoriale, che si traduce in distretti produttivi come quello di Verona: insieme a Parma, la capitale dell’alimentare made in Italy. Protagonista assoluta la produzione vinicola, ma la provincia vanta anche un comparto zootecnico di tutto rispetto, con il gruppo Veronesi-Aia, mentre il Pastificio Rana è leader europeo del mercato della pasta fresca. Senza dimenticare la tradizione dolciaria, con marchi che non hanno bisogno di presentazioni: Melegatti, Bauli, Paluani, Dal Colle e Vicenzi, che ha da poco acquisito per una ventina di milioni la divisione prodotti da forno della Parmalat.

E si notano anche segnali interessanti da parte di aziende italiane che accettano la sfida dell’internazionalizzazione. Tra gli esempi da segnalare, la Campari che ha acquisito Skyy Spirits negli Usa e la Ilva di Saronno che ha acquistato un’azienda in Cina.

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