Sostiene Maurizio Beretta: «La contemporaneità è un falso problema». Segnalo, per gli ignari e i distratti, che il Beretta medesimo è il presidente della Lega calcio italiana, uno che dovrebbe, dunque, conoscere bene il mondo nel quale si muove e per il quale lavora. Al di là dei denari importanti per reggere bilanci tossici, forse sarebbe opportuno rivedere i costi di gestione e i carichi dei salari che derivano da rose troppo ampie di ipermilionari. Questo anche per restituire il calcio al gioco e toglierlo alle speculazioni e interessi personali di alcuni dirigenti e alla violenza degli ultrà. I quali si sono fatti riconoscere anche ieri, dovunque, da Genova a Torino, sicuri di avere in mano la situazione, le società, i calciatori.
La contemporaneità delle partite di ieri ha riportato il football ai tempi antichi, già sabato sera lo avevano capito gli spagnoli, calienti per la marcia del Barcellona a Siviglia, attratti dal colpo di scena del Bernabeu e dal recupero sontuoso del Real Madrid sull’Athletic. Idem come sopra in Inghilterra con il ping pong tra Manchester e Londra, tra la squadra di Ferguson e quella di Ancelotti. Questa è la vera passione antica, questo è il vero calcio, imprevedibile, bello da vivere minuto per minuto, senza biscotti e torte anticipate o posticipate ma in diretta totale, contemporanea. Il problema non è affatto falso come sono, invece, false alcune partite che tutti sappiamo, da sempre. Lo sviluppo di Roma-Cagliari ne è stata la conferma, la gioia del popolo interista strozzata dal rigore dell’odiato e odioso Totti, ha ribadito che il tam tam della radio è più eccitante degli spot di Sky (su alcune telecronache dell’emittente di Murdoch sarebbe bello scrivere un libro di barzellette).
Il campionato si deciderà in novanta minuti, con Inter e Roma in trasferta, con un finale che è prevedibile. Domenica 16 maggio, dunque, si chiude ma ieri Josè Mourinho ha annunciato che lui ha già chiuso. A domanda specifica, «quando parlerà?», ha risposto «mai!».
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