Il calcio è fermo, il rugby corre troppo

Signori, si cambia. Fin troppo spesso, verrebbe da dire. Quello che fino a pochi anni fa era lo sport più conservatore del pianeta, quello che ha deciso di dar vita a un campionato mondiale soltanto nel 1987 (ultimo tra tutti), quello che viveva ancora le tournée come quando si partiva con il bastimento, quello che non tollerava alternative al dilettantismo più rigido, da un decennio a questa parte ha imboccato la via della rivoluzione senza soste. Stravolgimento di abitudini e di regolamenti, sotto la forza centrifuga dell’apertura al professionismo.
Così, mentre il calcio trema di fronte a qualsiasi ipotesi di innovazione, di apertura alla modernità o alle tecnologie, il rugby diventa un frullatore in cui anche per gli addetti ai lavori è difficilissimo stare al passo con le novità. Diventa così lo sport della moviola, dove l’arbitro ricorre al collega in cabina di regia per dissipare i dubbi, anche se adesso non convalidano nemmeno le mete più evidenti senza avere la benedizione via auricolare. Diventa lo sport dove si cambiano le regole per cambiare la natura del gioco: prima eravamo stanchi di vedere le fasi statiche e allora si è cercato di favorire gli spostamenti di fronte con l’uso dei piedi; adesso si vedono troppe partite prese a calci (la finale del mondiale francese per citare un esempio clamoroso, finta 15-6 con 7 piazzati e nessuna meta) e allora si cambia di nuovo per favorire il gioco alla mano.
Calci in touche penalizzati (se fatti dentro l’area dei 22), linee dei trequarti più lontane dalle mischie ordinate, rolling maul sempre più difficili da giocare, ecco un sunto di quello che si è visto in anteprima nella sfida d’apertura del Super 14 di ieri tra Natal Sharks e Western Force, il torneo dell’emisfero australe in cui si sta sperimentando il rugby del futuro. Lo scopo, indubbiamente, è quello di aumentare i minuti di gioco effettivo a scapito delle fasi statiche, ma anche di rendere il pallone sempre più visibile, meno prigioniero dei raggruppamenti, per rendere il rugby più appetibile al grande pubblico che agli addetti ai lavori, gli unici in grado di apprezzare le sfumature della spinta in mischia, del lavoro dei tallonatori o del recupero del pallone.

Più gioco alla mano e più velocità, insomma, e meno ping pong tra i due estremi, ma pure un rugby sempre più fisico, più atletico, per superuomini. Anche se poi, per capirlo, non puoi più andare allo stadio ma devi stare davanti alla tv per sentire le spiegazioni di Vittorio Munari.

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