Sport

Calcio, la rivolta dei capitani di serie A: "Nuovo contratto oppure non si gioca"

Tra i firmatari Totti, Del Piero, Gattuso e Zanetti, manca solo Doni. Il presidente di Lega, Maurizio Beretta: "Sono 800 milionari insensibili alla situazione del Paese"

Calcio, la rivolta dei capitani di serie A:  
"Nuovo contratto oppure non si gioca"

I calciatori mostrano i muscoli. Minacciano lo sciopero e lo fanno con una lettera firmata dai venti capitani della serie A, tra i quali Del Piero e Totti, Ambrosini e Zanetti, a voler dimostrare che la categoria è compatta e decisa a far sul serio scendendo in campo con i big. A costo di passare per ricchi e viziati di fronte a una presa di posizione impopolare ma inevitabile. Il concetto è semplice quanto chiaro: «Senza la firma dell’accordo collettivo, non è possibile cominciare un nuovo campionato». Contratto che manca da oltre un anno e per il quale era già stato minacciato uno stop lo scorso settembre. A rischio quindi l’inizio del torneo, fissato per il 27 agosto. Nel documento si legge «Siamo l’unica nazione in Europa a non avere l’accordo collettivo. Non è una questione economica». Tra i firmatari manca Cristiano Doni, fondatore di un sindacato autonomo: ma anche l’Anc ha dato informalmente la sua adesione.
Oggetto del contendere è la mancata firma da parte della Lega di serie A dell’accordo, raggiunto in primavera in un tavolo tra l’allora presidente dell’Aic Campana e i rappresentanti dei club. Il 30 maggio l’Assocalciatori firmò, i club no in assenza di Beretta e con Lotito, considerato uno dei “falchi“, privo di delega. A bloccare la situazione è l’articolo 7, quello sui “fuori rosa”. I calciatori vogliono che sia garantito il diritto di ogni tesserato ad allenarsi con la prima squadra.

Dall’altra parte i club vogliono che sia assicurata alla gestione tecnica, la possibilità di organizzare al meglio il lavoro. In pratica il sindacato ha paura che venga attuato il mobbing all’interno delle squadre. I club, invece, vogliono evitare altri “casi Pandev”. Già stata stralciata la questione dei trasferimenti “coatti“.
Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori, ribadisce: «Ancora oggi ci sono giocatori che lavorano ai margini della squadra».E comunque precisa: «Non è l’annuncio di uno sciopero, basta poco per trovare la soluzione». Poi l’affondo: «In Lega di A sono incapaci di tirar le fila di 20 persone e metterle d’accordo».

Dall’altra parte il presidente della Lega, Maurizio Beretta, risponde per le rime dichiarando di non voler piegarsi alle minacce, ma tiene comunque aperta una porta sottolineando però l’insensibilità dei calciatori «alla luce di quello che sta vivendo il Paese reale. Non dimentichiamo - spiega - che si tratta di 800 giocatori il cui stipendio medio è di oltre un milione di euro all’anno». Ma Tommasi riattacca: «Quando un presidente federale si espone come fatto e attende risposte dalla Lega non mi pare che assuma una posizione tanto diversa dalla nostra».

E di quegli 800 fanno notare dal sindacato oltre cento sono disoccupati. A mediare può essere proprio la federcalcio che negli ultimi giorni si era già espressa. Il presidente Giancarlo Abete ha chiesto di definire la questione entro l’inizio del campionato e «riservandosi ogni eventuale decisione al prossimo consiglio federale del prossimo 24 agosto». Il vicepresidente Demetrio Albertini aveva aggiunto: «È come per l'Nba: se non c'è la firma, non si parte», spiegando la volontà emersa dal giro nei ritiri di Tommasi.Ma prevedere scenari simili a quelli Oltreoceano, dove baseball e basket, ancora oggi impegnato in uno scontro, hanno già dimostrato il coraggio di fermarsi per ora è difficile. Perché in 42 anni di sindacato, solo una volta è stato fatto uno sciopero, nel 1996. Per il resto tante minacce, ma sempre in campo.

È una corsa contro il tempo, ma tutte le parti dicono di potercela fare.

Commenti