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Calcio di valore

Calcio di valore

La pochezza della «nuova» questione morale, così come si è affacciata nelle parole di Arturo Parisi, relative a un temuto scambio fra la presidenza del Consiglio di amministrazione della Rai e i diritti delle partite di calcio, la prima a Petruccioli, i secondi a Mediaset, manifesta una radice malata che va ben oltre la verità dello scambio asserito. Poniamo che sia vero, che la maggioranza berlusconiana si sia accomodata a votare Petruccioli in accordo con l’opposizione perché Berlusconi aveva ottenuto da un consiglio debole di portare le partite di calcio sulle sue reti. In cambio - ecco l’accusa di Parisi travestito, senza troppi veli, da ragazzo dell’oratorio che legge Avvenire - dopo mesi di estenuanti trattative, il via libera a un accomodante Petruccioli. A parte i risvolti offensivi sul piano personale, di inaudita violenza, e che si manifestano con un atto di sostanziale sfiducia non solo nei confronti di Petruccioli ma di tutti i parlamentari della Commissione di Vigilanza, tutti, anche quelli dell’opposizione che hanno votato all’unanimità (che nel linguaggio di Parisi si dovrebbe chiamare complicità), il ragionamento poggia sull’alto peso contrattuale attribuito ai diritti del calcio. Quando l’ho letto nell’intervista a Parisi sul Corriere, e l’ho ritrovato nella replica di Petruccioli, ho immaginato il ragazzo dell’oratorio come l’esponente cieco e attuale di un popolo trattenuto davanti alla tv non dalla qualità dello spettacolo, non dalla cultura trasmessa attraverso il mezzo televisivo con adeguati strumenti ma dall’ipnosi del gioco, il calcio assurto a unico simbolo della unità nazionale e dei valori. Cosa c’entra la questione morale con il gioco del calcio? Perché non chiedere a Petruccioli di ridare dignità alla produzione televisiva, mai così scadente come in questi anni; e non soltanto attraverso la scorciatoia del calcio misurata nei termini esclusivi dell’audience? Si sta chiudendo una pagina, troppo lunga, di vacanza di un indirizzo culturale per la televisione pubblica. E appena si può sperare nell’avvio di una nuova stagione ecco il «forte richiamo morale» all’appassionante movimento dei piedi del gioco del calcio. Nessuna preoccupazione per la testa, e nessuna considerazione sul carattere drogato di questo spettacolo con nessuna qualità in sé se non il carattere di documentazione di un evento agonistico in sostituzione di una partecipazione diretta il cui unico stimolo è un istinto, naturalmente irrazionale, come il tifo. Questa l’inquietudine manifestata da Parisi, in verità non compensata dalle promesse di Petruccioli, che scende nella polemica spicciola quando indica come sua ambizione il ritorno di Biagi in tv. Biagi e il calcio non sono una grande prospettiva per una televisione nuova che aspiri alla funzione di indirizzare la sensibilità e la coscienza di una vita civile, non fosse che per evitare ai cittadini, certamente appassionati di calcio, di trasformarsi nelle bestie che hanno staccato la mano al Nettuno di Piazza della Signoria a Firenze. La degenerazione del tifo calcistico ha determinato in questi anni violenze inaccettabili; non risulta che abbia aperto le intelligenze al rispetto delle regole di una civiltà e neppure all’esaltazione del gioco come arte. La vera risposta di Petruccioli a Parisi dovrebbe essere in una televisione così creativa da non far rimpiangere i diritti perduti del calcio, che non è perduto se, cambiando canale, si può trovare su un’altra rete.

La qualità ricercata non va confusa con l’orgoglio ferito.

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