Calcio

Addio a Sinisa Mihajlovic, guerriero dal cuore d’oro

Nonostante il suo proverbiale coraggio e determinazione, la leucemia mieloide acuta ha avuto la meglio sull'ex tecnico di Milan, Torino e Bologna. A chi ne apprezzava la schiettezza e la bontà rimangono i ricordi di una carriera e di una vita affrontata sempre a viso aperto

Addio a Sinisa Mihajlovic, guerriero dal cuore d’oro

Sinisa Mihajlovic non ce l'ha fatta. Una morte "ingiusta e prematura" a soli 53 anni, secondo la famiglia che ne ha dato l'annuncio. E pochi momenti della vita di un giornalista sono più difficili di quando ricevi notizie come la dipartita di un campione o di un artista famoso. Intimamente speri sempre che il tuo capo non ti chiami, che il compito ingrato di descrivere in poche parole esistenze spesso straordinarie non capiti a te. Una cosa è certa: ricorderai per sempre dove eri e cosa stavi facendo. La notizia della morte di Lucio Battisti la lessi dalla telescrivente della Reuters al Cairo, quando facevo uno stage all’Al Ahram mentre di Johan Cruijff seppi direttamente dal capo della nostra redazione ad Amsterdam quando ero al newsdesk di un’agenzia internazionale a Londra. Stavolta, invece, la notizia mi è arrivata sul telefonino, poche parole che mi hanno fatto rabbrividire: “Sinisa sta molto male”. Ma come? Non ce l’aveva fatta a battere quella brutta bestia della leucemia? Era di nuovo in remissione, no? Pochi giorni fa era addirittura intervenuto a Roma, al Libraccio, dove si teneva la presentazione del libro di un altro slavo dal carattere forte, Zdenek Zeman, facendolo addirittura commuovere. Invece no, stavolta il guerriero non ce l’ha fatta, lasciando il mondo del pallone sgomento.

Un uomo tutto d'un pezzo

Come fare a raccontare un uomo come lui, tutto d’un pezzo, aggressivo in campo ma, in fondo, buono come un pezzo di pane? Ha senso parlare di quando spadroneggiava sui terreni della Serie A, facendo impazzire gli avversari della sua Lazio, lasciando i portieri immobili ed impotenti sulle sue magistrali punizioni? Erano forse quei tiri mirabili, tanto inspiegabili da aver spinto dei ricercatori dell’Università della sua Belgrado a dedicargli degli studi specifici, a descrivere il suo passaggio terreno? O forse magari è meglio parlare di lui come allenatore pugnace, carismatico, capace di trasformare un qualsiasi gruppo di giocatori in una squadra vera? Forse, ma mi piace ricordare come i suoi ragazzi gli fossero talmente affezionati da rendere ancora di più quando quella brutta bestia lo costringeva a passare settimane, mesi in ospedale. Alla lunga, nemmeno la tenacia di Sinisa era riuscita a far svoltare la situazione del suo Bologna, tanto da costargli la panchina. Strano però come diversi, a partire da De Zerbi, non volessero prenderne il posto. Vista alla luce della notizia di oggi, questa ritrosia ha più senso.

Mihajlovic e Arianna Rapaccioni

Il coraggio di un campione

Non importa se ti stava più o meno simpatico, se apprezzavi il suo stile di gioco o il suo carattere spigoloso, sull’uomo Sinisa nessuno ha mai avuto da ridire. Per definire la sua esistenza fin troppo breve potrebbe bastare una sola parola: coraggio. Quello che mostrava in campo, quando non mollava mai e spronava i suoi compagni a lottare fino alla fine, fino al trionfo ma anche quello che mostrava nella vita, quando non si nascondeva dietro alle solite scuse ed accettava di prendersi le colpe, senza se e senza ma. Lo stesso coraggio che mostrò fin dal primo momento, da quella conferenza stampa nella quale annunciava che sulla macabra ruota del cancro, stavolta, era uscito il suo numero. Parole secche, decise, anche dure: “Ho spiegato ai miei giocatori che lotterò per vincere come ho insegnato loro a fare sul campo. Questa sfida la vincerò, non ci sono dubbi”. La chemio, gli incontri coi giocatori su Zoom, la salvezza conquistata con le unghie e coi denti, fino alla guarigione, al sospiro di sollievo di un mondo imbarazzato dal rapporto con la malattia.

Nemmeno due anni dopo, quando tutti sembravano averla dimenticata, la brutta bestia era tornata, costringendolo ad un nuovo stop ma, in fondo, tutti pensavamo che si sarebbe ancora rotta le corna sulla roccia che era Sinisa. Troppo forte anche per la leucemia, ci dicevamo, traendo ispirazione dalla sua determinazione ferrea. Poi l’esonero quasi inspiegabile ed un silenzio che sembrava normale, vista la grande delusione, il tradimento di una società che gli era stata vicina in maniera esemplare. Visto oggi, tutto ha molto più senso. La situazione, evidentemente, era più grave di quanto volessero darci ad intendere. Sinisa aveva continuato a lottare da solo, tenace come sempre, determinato a vincere nonostante tutto e tutti. Stavolta, purtroppo, tutto il suo coraggio non è bastato e la brutta bestia se l’è portato via.

Sinisa Mihajlovic

A noi che, pur senza tifarlo, ne apprezzavamo le doti tecniche ed umane, rimangono solo i ricordi, il suo sorriso ed i suoi tanti gesti piccoli e grandi che ce lo facevano stare ancora più simpatico. Siamo lieti che se ne sia andato ancora tutto d’un pezzo, prima che la sofferenza e la malattia riuscissero a cambiarlo, renderlo più cinico o cattivo. Muor giovane chi è caro agli Dei, si diceva una volta. In un mondo come il nostro, dove la morte non è più compagna di vita ma un demone da esorcizzare a tutti i costi, sembra una frase quasi beffarda ma, in fondo, non possiamo che sottoscriverla. Sinisa non c’è più, è vero, ma nei cuori di chi gli voleva bene rimarrà sempre quello di una volta, che urlava in campo e condivideva le gioie ed i dolori di un intero popolo. Il guerriero dal cuore d’oro non ce l’ha fatta, ma questo non rende certo meno ammirevole la sua lotta. Non è vero che vincere è l’unica cosa che conta. Mihajlovic è rimasto fedele a sé stesso anche di fronte ad un nemico spietato ed instancabile.

Se riusciremo ad imparare qualcosa dal suo esempio, questo nostro mondo non potrà che ringraziarlo.

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