
C'è il pienone negli stadi, registrato il boom del calcio femminile (sfiorate le 50 mila tesserate) ed è in aumento il valore economico generato dal sistema ma restano due buchi neri: da una parte l'ammontare dei debiti e dall'altra la lentezza nel mettere mano ai progetti per nuovi stadi, condizione essenziale per ospitare (con la Turchia) Euro 2032. La radiografia del calcio italiano emersa dal report pubblicato dalla federcalcio col contributo di Arel e Pwc Italia propone questo scenario che prospetta qualche virtuosa inversione di tendenza (il valore della produzione ha toccato la cifra record di 4,5 miliardi e il livello delle perdite negli ultimi tre anni è sceso da 1,4 miliardi a 731 milioni) e segnala una striscia di dati positivi (i ricavi da sponsor e attività commerciali hanno superato il miliardo mentre l'affluenza in serie A nel 23-24 si è attestata sui 21 milioni di spettatori con una media-partita di 31.172 unità superiore addirittura a quella degli anni boom, stagione 92-93) molto incoraggiante. A proposito di quest'ultimo dato, tre club italiani - Inter, Milan e Roma - sono nella classifica dei primi 10 europei per affluenza. Sono però aumentati gli stipendi con qualche significativa eccezione: in serie A +4,7%, in serie B -4% mentre in serie C - tre gironi da 20 squadra con gravi problemi finanziari - l'incremento è stato addirittura del 22,5%. Poche storie: è un settore non più sotto controllo, va detto a chiare lettere.
Dopo le luci, le ombre. I debiti aggregati tra serie A, B e C, ammontano a 5,5 miliardi ma quel che preoccupa a proposito del traguardo lontanissimo della sostenibilità è un altro dato: in passato i ricevi erano in grado di coprire il 97% dell'indebitamento, adesso si è scesi all'83% nonostante l'arrivo di robuste proprietà straniere (in maggioranza fondi Usa) decise a recuperare il terreno negativo. I meriti del calcio sono scolpiti da altri conti. L'incidenza sul Pil italiano per esempio è di 12,4 miliardi con 141 mila posti lavoro attivati, frutto del contributo del calcio professionistico (5,2 miliardi), del calcio giovanile e dilettantistico (2,9 miliardi), delle scommesse (1,8 miliardi), del turismo calcistico (1,3 miliardi) e di quotidiani sportivi e broadcaster (1,2 miliardi). Se ne ricava un risultato complessivo: il calcio professionistico offre oltre il 70% della contribuzione fiscale del comparto sportivo italiano.
Gabriele Gravina, presidente, nel presentare lo studio (edizione numero 15) lo ha definito «il più completo» ritagliandosi il primato «per numero di tesserati, valore economico generato e diffusione dei progetti in ambito sociale».Non può bastare. Serviranno riforme oltre che stadi nuovi. Sì, ma quando?