Il calcio inglese contro l'antisemitismo: vietati slogan pro Palestina ai calciatori

Fa discutere la decisione della Football Association inglese che ha vietato ai giocatori di utilizzare lo slogan “From the river to the sea, Palestine will be free”, coniato negli anni Sessanta per chiedere proprio la liberazione della Palestina

Il calcio inglese contro l'antisemitismo: vietati slogan pro Palestina ai calciatori
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È ufficiale la decisione della Fa inglese e fa già tanto discutere. La federazione consulterà infatti la polizia se qualche giocatore utilizzerà la frase “From the river to the sea” in relazione al conflitto fra Israele e Hamas nella striscia di Gaza. La decisione è arrivata dopo un post pubblicato sul social X dal giocatore del Leicester Hamza Choudhury che ha utilizzato proprio la citata frase, mostrando sostegno al popolo palestinese.

È stata immediata la replica di molti soggetti, alcuni anche istituzionali, che hanno tacciato la frase come antisemita. È il caso della Anti-Defarmation League, che ha descritto la frase come “una accusa antisemita che nega il diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione, incluso attraverso la rimozione degli ebrei dalla loro terra di origine”. A fare eco l’associazione Kik It Out che ha affermato, seppur nel riconoscimento delle diversità di opinioni sul conflitto in Medio Oriente, in una nota quanto segue: “Invitiamo alla cautela coloro che utilizzano i social media dove i messaggi possono essere interpretati erroneamente o causare offese”.

Il calciatore del Leicester non subirà alcuna sanzione disciplinare, ma la Football Association ha immediatamente voluto sancire il suo pensiero a riguardo: “Dopo una attenta considerazione, scriveremo a tutti i club per chiarire che questa frase è considerata offensiva e non dovrebbe essere utilizzata dai calciatori sui social media. Incoraggiamo fortemente i club a garantire che i giocatori non pubblichino contenuti che potrebbero risultare offensivi o provocatori per qualsiasi comunità. Se questa frase verrà utilizzata nuovamente da un tesserato, chiederemo indicazioni alla polizia su come debba essere trattata e sul come rispondere”.

La decisione è stata ampiamente criticata da molti tifosi, ma la Fa non è l’unica ad avere gatte da pelare. In Bundesliga, ad esempio, tiene banco il caso di Anwar El Ghazi, attaccante del Magonza, che lo scorso mese è stato sospeso dopo che aveva pubblicato sui social un post sul conflitto, recante la frase incriminata. Il club aveva reintegrato l’ex Aston Villa affermando che lo stesso si era scusato ma il calciatore non è tornato sui suoi passi, anzi, ha rincarato la dose: “Non mi pento della mia posizione e non ho rimorsi. Non mi rimangerò quanto detto. Piuttosto difenderò gli oppressi fino al mio ultimo respiro. Qualsiasi altra affermazione, commento o scusa attribuita a me non è di fatto corretta e non è stata fatta o autorizzata dal sottoscritto. Sono contro la guerra e la violenza, così come l’uccisione di tutti i civili innocenti, ogni forma di discriminazione, islamofobia, antisemitismo, genocidio, apartheid, occupazione e oppressione. Dobbiamo chiedere che cessino le uccisioni a Gaza”.

Ha quindi sbugiardato il suo club e oltre ad affermare che ritiene il gesto incomprensibile ha affermato che adirà le vie legali contro un suo stesso tesserato.

La tensione è palpabile e la sensazione è che non sarà una decisione di una o più federazioni a fermare i calciatori dal prendere posizione su quanto sta accadendo a Gaza.

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