"In quella stanza tutto era permesso...". La rivelazione choc sulla morte di Maradona

La testimonianza del direttore dell'unità di terapia intensiva della Clinica Olivos, dove Diego fu ricoverato fino all'11 novembre 2020

"In quella stanza tutto era permesso...". La rivelazione choc sulla morte di Maradona
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Prosegue con nuovi colpi di scena il processo in corso di svolgimento a Buenos Aires per far luce sulle cause del decesso di Diego Armando Maradona avvenuta il 25 novembre 2020, della quale sono accusate al momento sette persone.

A fornire la propria testimonianza, dai risvolti scioccanti, è Fernando Villarejo, vale a dire il direttore dell'unità di Terapia Intensiva della Clinica Olivos: qui l'ex calciatore subì l'intervento chirurgico per la rimozione di un ematoma che si era formato tra il cranio e il cervello e rimase ricoverato dal 4 all'11 novembre 2020, ovvero fino a circa due settimane dalla morte.

Una situazione definita irreale, quella che si venne a creare nella stanza in cui si trovava Maradona, all'interno della quale i membri del suo staff medico personale impedirono ad altri specialisti di accedere e di effettuare le proprie valutazioni circa il suo stato di salute. Villarejo ha ammesso di essersi sentito "come una pedina tra il re e la regina" riferendosi ai due dei principali protagonisti delle decisioni prese per Diego dopo l'operazione, ovvero il neurochirurgo Leopoldo Luque e la psichiatra Agustina Cosachov.

"Luque ha vietato l'ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona", ha spiegato il direttore, ovvero"il dottor Mario Schiter e una psichiatra che erano stati contattati dalle figlie del paziente ed erano arrivati fino alla clinica per svolgere il proprio incarico". Un divieto definito"strano e intempestivo", anche perché gli specialisti incaricati dai familiari del Pibe de Oro dovevano valutare se fosse o meno necessario ricoverare il paziente in una clinica di riabilitazione.

Lo stesso Villarejo non riuscì a effettuare una visita medica post-operatoria, ma potè solo prendere visione della cartella clinica, che già di per sé fu comunque sufficiente per comprendere che Maradona continuava a essere un"paziente molto complesso perché afflitto da pluripatologie di difficile controllo". Non solo. In quella stanza, rivela il medico, accadeva di tutto: al paziente, pur se convalescente, fu permesso di mangiare hamburger e junk food, di certo non l'ideale in una fase post-operatoria con tutte le complicazioni rilevate.

Il direttore della clinica aggiunge poi altri dettagli allarmanti, dal momento che stando alla sua testimonianza Maradona fu sottoposto a intervento chirurgico senza la consueta visita preoperatoria, e che a pochi giorni di distanza dall'operazione fu lo stesso staff medico diretto da Luque e Cosachov a ordinare che il paziente venisse sedato per 24 ore: il neurochirurgo gli confidò che Diego era un paziente ingestibile, e che la sedazione sarebbe stato il modo giusto per "cercare di disintossicarlo" dalle sue abitudini alcoliche. "Non ero d'accordo", spiega alla corte Villarejo, "non era il posto giusto. L'ho spiegato a Luque", dal momento che una scelta del genere avrebbe potuto causare "gravi rischi, dalle infezioni alle complicazioni respiratorie".

Alla fine fu la famiglia di Diego ad accordare la sedazione, "per ignoranza o perché si fidava".

E per quanto concerne la decisione, rivelatasi poi fatale, di riportarlo a casa anziché in una clinica di riabilitazione? Il direttore risponde alla Corte senza troppi giri di parole: la Clinica Olivos suggeriva di ricoverare Diego in una struttura specializzata, ma non fu questa la decisione presa dal suo staff: "La dottoressa Cosachov scrisse che erano stati i familiari a volerlo a casa, ma non risulta che ci fosse un vero consenso clinico su quella decisione".

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