Specchiata nei numeri, non c’è partita.
Sono 40 anni che il Como non batte l’Inter (15 dicembre ’85, gol di Borgonovo a Zenga), addirittura 75 che non lo fa a San Siro (14 maggio 1950) e in assoluto ce l’ha fatta appena 6 volte in 37 partite, Coppa Italia compresa. Eppure mai come stavolta il passato non conta, oscurato dal radioso presente lariano. Un derby non solo lombardo, visto che l’Inter si allena in provincia di Como, a nemmeno 20 chilometri dal capoluogo.
Ma oggi la sfida vale molto più di un derby: per l’Inter è un test, guai a perdere dopo averlo già fatto con Juventus, Napoli e Milan, per il Como è il vero esame da grande. Fabregas ha già battuto in casa Lazio e Juventus, spaventato e fermato il Napoli allo stadio Maradona, ma se oggi centrasse l’impresa a San Siro, alle 20 si ritroverebbe a guardare Chivu negli occhi, con gli stessi punti in classifica. «L’Inter è la squadra più forte che c’è, giocano a occhi chiusi, si conoscono bene.
Noi analizziamo tutto e tutti, l’Inter è un modello e un esempio, non mi vergogno a dirlo», spiega il tecnico spagnolo, corteggiato ma non stregato in estate dalle offerte nerazzurre. «Non voglio parlarne, la domanda mi fa male. Io lavoro per il Como e do tutto me stesso per il Como e i miei ragazzi».
La storia è nota, ma giova ricordarla. Era Fabregas la prima scelta di Marotta, ma i programmi dell’Inter non furono sufficienti per fargli voltare le spalle al lago e ai programmi milionari degli Hartono, meno pressione e più laboratorio, maggiori possibilità di crescere. Arriverà presto per lui il tempo di una grande d’Europa, oggi l’impresa è fare diventare grande il Como.
Con i soldi, certo, tanti, ma anche con i suoi rapporti, quelli che gli hanno consentito di ingaggiare un gruppo di ragazzi che non sono solo giovani, ma soprattutto sono bravi.