Lautaro senza freni Calha a muso duro. Non si alzano coppe ma volano gli stracci

Clamoroso: dopo lo sfogo fuori tempo dell’argentino, i like al turco di Thuram & C

Lautaro senza freni Calha a muso duro. Non si alzano coppe ma volano gli stracci
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Dovevano alzare i trofei, hanno finito col tirarsi gli stracci. Poteva essere Inter contro Inzaghi, appena un mese dopo l’addio.
Invece l’Inter è a casa e Inzaghi troverà il Fluminense: in 5 partite si è quasi pagato i 2 anni di stipendio che gli passano i sauditi.
Un’abitudine, quella di vincere e fare soldi, che evidentemente gli appartiene. Peggio, la stagione nerazzurra non poteva finire. Non bastava l’inattesa sconfitta contro il Flu, ci sta sempre perdere una partita ad alto livello, sono le inopportune parole di Lautaro a deflagrare sul cielo dell’Inter, altro che i temuti fulmini di Charlotte.

In sintesi: Lautaro rivolge accuse pesantissime ai compagni (parla al plurale), senza però fare nomi («chi non vuole stare, se ne vada pure»); un cognome lo fa poi Marotta, ma è quello più scontato, Calhanoglu. Lo fa probabilmente perché spera che, indirizzando le accuse di Lautaro sudi un unico bersaglio, la ferita sia più rapidamente rimarginabile. Perché evidentemente, il Toro parlava anche di altri compagni. Forse a chi è rientrato dagli Usa prima del tempo (Pavard, Frattesi, Zielinski, Bisseck, oltre a Calha), forse a chi anche contro il Fluminense camminava più che correre (Thuram, Dumfries), forse a chi è sembrato distratto (De Vrij, Bastoni). Chissà.

Di certo, l’utilità di quel duro attacco così tanto generico, sfugge a una saggia lettura del momento nerazzurro. «Io sono il capo», ha ripetuto più volte l’argentino. «Io voglio vincere: come capitano, come gruppo. Qui ho visto tante cose che non mi sono piaciute». E allora non sarebbe stato meglio dire certe cose direttamente in faccia ai compagni per lui colpevoli di tradimento, anziché cercare una comoda via di uscita da un’altra brutta sconfitta con parole e toni che accarezzano dal verso giusto il pelo del tifoso?

Calhanoglu non poteva non rispondere.

Lui se ne vuole andare e l’Inter lo sa da almeno 3 settimane. È solo una questione di prezzo (che dopo Charlotte, non è certo aumentato). Durissima la sua replica social («parole che non uniscono, ma dividono»), restituendo all’argentino lo straccio sporco con tanto di interessi («un vero leader non cerca colpevoli: la storia ricorderà sempre chi è rimasto in piedi, non chi ha alzato di più la voce»).

Basterebbe già così, ma proprio perché c’è dell’altro e la diplomazia di Marotta non è bastata per contenere la macchia, il like di Thuram (molto più di quello di Arnautovic o della moglie di Inzaghi) al post di Calhanoglu ha un effetto moltiplicatore devastante, smascherando una situazione che evidentemente cova negli spogliatoi nerazzurri da parecchio tempo e che gli ultimi negativi risultati hanno enfatizzato. ThuLa spaccata, altro che amici per sempre. E probabilmente c’è dell’altro, che Inzaghi con la sua esperienza ha saputo contenere e con cui invece l’incolpevole Chivu, una barca a remi in mezzo alla tempesta, fatica a gestire.

La sua speranza è che 3 settimane di vacanza (l’Inter atterra stamane a Malpensa, poi ovviamente tutti liberi) servano a riportare la bonaccia. Non sarà semplice e il vero aiuto arriverà solo dal mercato: vendere (gli scontenti) per comprare e ricostruire. Servirebbero soldi, ma Oaktree dopo i 25 spesi per Bonny non è intenzionata a metterne altri.

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