Manlio Scopigno, l'allenatore filosofo che sussurrava a Gigi Riva

Sollevò lo scudetto a Cagliari nel 1970: caustico nei modi e nelle uscite, geniale per le intuizioni tattiche e decisamente anti establishment

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Il problema è che si ritrova esattamente scisso a metà tra due passioni. Non riesce a sfilarsi dai libri, perché le pensate di Kant, Hegel e Spinoza lo attraggono. Però, poi, quando vede un pallone che rotola va come in catalessi. Da giovane Manlio Scopigno, classe 1925, friulano venuto su tra quel pugno di case che è Paularo (Udine), poteva anche provare ad oscillare disinvolto tra queste due sponde antipodiche. Mollava i libri e infilava gli scarpini. O viceversa.

Quando però era diventato evidente che con una sfera tra i piedi ci sapeva fare, aveva dovuto comprimere il tempo devoluto alla formazione. Faceva il difensore, Scopigno. Prima lo aveva cercato il Rieti, poi la Salernitana. Quando, nel '51, era arrivata la chiamata del Napoli, le cose sembravano mettersi per il meglio. Non poteva sapere, Manlio, che un infortunio rimediato ai legamenti del ginocchio, miscelato all'insipienza medica del tempo, gli avrebbe prematuramente annacquato la carriera. Quella da calciatore, almeno.

L'altra, quella che lo voleva a fluttuare davanti ai sedili in legno di una panchina, si era appena involontariamente stappata. Dopo lo stop forzato, era tornato a Rieti per candidarsi all'esuberante ruolo di giocatore-allenatore. Gli avevano detto di sì e da quel giorno si sarebbe srotolato un percorso impensabile. Ma Scopigno, di nuovo, non c'era arrivato senza soffrire. E quello che più gli doleva non era certo il ginocchio. Lo squassava l'idea di non tornare a fiondarsi sui libri. Però aveva perso il ritmo, ormai. Poteva dirsi un filosofo dilettante, mentre le pulsazioni calcistiche le conosceva a menadito.

Manlio Scopigno
Dal sito "Il Nobile Calcio"

Abbastanza, almeno, per diventare allenatore in seconda al Vicenza quando scocca il 1959, fino ad afferrarne le briglie e a conquistare un paio di lucenti piazzamenti: sesto e settimo posto. Di Scopigno soprendono le singolari intuizioni tattiche. Si sollazza ampiamente nel mutare ruolo ai suoi giocatori, arretrando gli attaccanti in mediana, avanzando i centrocampisti all'ala. Assieme a queste debordanti doti strategiche però, affiora in traslucenza anche un carattere dai tratti dissacranti. Manlio, si apprende, ti dice sempre esattamente quello che pensa, anche se questo può generare un irrefrenabile avvitamento diplomatico.

Con il presidente dei Lanerossi, Farina, divampano presto scintille. Divergono sul giudizio per un calciatore da acquistare, al Gallia - il tempio del calciomercato - e perché Manlio non le manda mai a dire. Nel '65 lo chiama il Bologna, visto che il patron Goldoni sta tentando di varare un nuovo ciclo, ma dura pochissimo. Silurato dopo una manciata di giornate, Scopigno commenta atarassico: "Leggo numerosi errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato".

Spesso però i progetti infranti aprono la via a sogni nuovi. Il suo si materializza in Sardegna, a Cagliari. Appena arrivato annota i movimenti di Gigi Riva su un taccuino, poi fa segno che gli deve parlare. "Ascolta, te da oggi smetti di giocare da esterno. Te giochi centravanti". Basterebbe questa trovata a definire la grandezza del tecnico, ma lui non ama rosolarsi nei successi colti. Arriva sesto solo perché una gamba di Rombo di tuono si incrina. L'isola, percorsa da cumuli di questioni irrisolte - dai sequestri al gap economico col resto del paese - riconosce in quella sua creatura un motivo di impensabile riscatto.

Scopigno continua a lavorare duramente, perché ha intravisto il potenziale di quella squadra. Poi però ci sono pure gli imprevisti disseminati dal suo carattere irrequieto. Una sera, durante una festa all'ambasciata italiana di Chicago (il Cagliari è in tournée negli States) alza eccessivamente il gomito e finisce per urinare nel giardino dell'ente. La cosa innesca uno scandalo giornalistico che arriva presto davanti alle pupille sgranate del presidente Rocca. Quando il patron lo chiama per ricevere spiegazioni, Scopigno lo liquida in fretta: "Presidente si sbrighi, mi si fredda la minestra". Zero tempo per i convenevoli. Licenziato.

Scopigno

Tornerà presto in sella, a Cagliari, per riprendersi tutto con gli interessi. L'estate del '69 coincide con il suo allunaggio calcistico. Via Boninsegna, che inciampa spesso nelle stesse traiettorie di Riva. Dentro Domenghini e un maipolo di altri buoni innesti. La squadra è più unita ed equilibrata. I giocatori lo idolatrano, anche perché sa sfoderare un pronunciato lato umano. Come quando ne becca una comitiva, Riva compreso, intanta a fumare di brutto in camera d'albergo. Prima fa una faccia severa, poi spiazza: "Quando fate i festini chiamate", dice accendendosi una sigaretta.

Quel Cagliari che diventa campione d'Italia coincide con l'apice di una carriera che andrà inseguito sgretolandosi, fino a terminare incomprensibilmente nel dimenticatoio. La filosofia applicata al calcio è un congegno frangibile. Ma che show, finché è durato.

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