Calcio

Moggi e la chiavetta con tutti i segreti di Calciopoli: “Si riapra l’inchiesta

La consegna al dimissionario Andrea Agnelli all’assemblea degli azionisti Juve: “Noi derubati”

Moggi e la chiavetta con tutti i segreti di Calciopoli: “Si riapra l’inchiesta”

La agita per un tempo che pare indefinito, quasi fosse una reliquia. Poi la consegna tra le mani giunte del dimissionario presidente Andrea Agnelli, sfoderando un sorriso sornione che sa di rivalsa pregustata lungamente. Luciano Moggi si prende una sostanziosa fetta di scena nel corso dell’assemblea degli azionisti della Juventus, andata in scena oggi per certificare una inevitabile sequela di passaggi di consegne, dopo lo squassante sisma che ha fatto vibrare il palazzo bianconero.

L’oggetto di tanta attenzione è di dimensioni non certo ragguardevoli. Anzi, sicuramente modeste: una semplice chiavetta usb. Premuta digitalmente al suo interno, però, c’è una galassia di informazioni segrete che chiede di esondare. È questa, almeno, la versione sciorinata dall’ex direttore generale, radiato dalla giustizia sportiva dopo lo sfacelo di Calciopoli. Lui, che è anche azionista del club, però non nutre dubbi: “Siamo stati indicati come colpevoli di cose che hanno fatto altri. I veri derubati siamo noi. Se è vero che è stato riaperto il caso plusvalenze perché pensavano di avere trovato elementi nuovi, allora bisognerebbe riaprire anche Calciopoli: una ferita che ancora non si rimargina, né per noi, né per la Juventus”.

La sua verità

Forse irrituale nei modi, sicuramente abrasivo con quelle parole che dribblano i gingilli linguistici, Moggi sfrega i legnetti della memoria per appiccare una nuova scintilla. Chiama in causa – in ordine sparso - la Lazio, la Roma, la Fiorentina, Nakata, Oriali, Recoba e Carraro. Un intruglio di nomi e situazioni che giacevano ormai sepolte sotto il balsamo del verdetto sportivo, ma che vengono adesso riesumate per l’occasione. Agnelli lo ringrazia e lo chiama “Lucianone”. Lui un po’ forse gongola, desideroso di ripristinare quella che – stando al contenuto del prezioso manufatto cibernetico – sarebbe secondo lui un’altra verità.

La tempesta emotiva è tracimante. D’un tratto si srotolano davanti alle pupille troppe immagini ossimoriche. È quel genere di ricordi che sanno farti stare bene e farti sanguinare al contempo. Rivedi Gilardino che serve Del Piero per il 2-0 alla Germania. Cannavaro che solleva la coppa in finale. L’Italia che si affonda gioiosamente dentro una festa che dura settimane, salvo poi risvegliarsi bruscamente, una caterva di spilli a infilzare la schiena. Le penalizzazioni, la Juve in B a meno 17, la triade polverizzata, un sistema che si nutre di diramazioni profonde e che adesso galleggia a pelo d’acqua.

E Moggi, di sicuro, è l’emblema della ragguardevole pena inflitta, tanto sul piano umano, quanto su quello sportivo. Una pastiglia amarissima, che non pare aver mai deglutito. Così l’occasione odierna diventa cabaret e riscossa in un sol colpo. Se è vera la seconda ipotesi, Lucianone deve aver trascorso gli ultimi quindici anni a trascinare files compromettenti dentro al corpo ingordo dell'arnese che oggi stringeva tra le mani. La domanda però sorge spontanea. Perché aspettare così tanto? Fosse autentico il primo caso, quello di un gran battage che si risolve poi in una bolla di fumo, lo sapremo comunque presto. Forse. Perché a Luciano Moggi – che nel frattempo non perde l’occasione per impartire consigli per gli acquisti a centrocampo – va riconosciuta la capacità di risultare raramente banale. Ha gettato un'usb nello stagno.

Adesso se ne starà sulla sponda a contemplare le increspature.

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