
Spregevole, miserabile, infame. Il tifo contro da sempre attira aggettivi poco lusinghieri da parte dei «veri» sportivi, i cultori del gesto tecnico, i cantori dell'epica, i patrioti della domenica del «si tifano sempre le squadre italiane». Eppure, la realtà è che nel calcio non esiste forma più pura di tifo del tifo contro.
Godere delle altrui sconfitte è l'essenza del tifo perché il tifo non è razionale e non è pulito. Il tifo è settario, primitivo, è appartenenza a una tribù, è una forma non violenta di guerra. Sono felice se i miei cavalieri vincono la crociata, ma sono anche parecchio sollevato se non la vince l'esercito rivale.
È matematica: si vince di rado, si festeggia di rado. Celebrare le altrui sconfitte moltiplica le occasioni di buonumore. Ci sono stimati professionisti che collezionano Vhs delle sconfitte della Roma e hanno in camera il poster di Pazzini, figure apicali che ogni Cinque Maggio ringraziano gli dei. Le bacheche si riempiono anche così.
È psicologia: ciascuno ha i suoi lutti calcistici, quei momenti in cui perdere è stato lancinante. Il gol di Boli, i fari di Marsiglia e Istanbul per un milanista sono sale e tabasco su una ferita, il triduo Amburgo-Borussia-Real sono chiodi roventi sulla memoria degli juventini. Quella sofferenza - che a suo tempo venne giustamente ridicolizzata da amici, compagni di classe, colleghi interisti - cova ardente sotto pelle e reclama vendetta, come le «braci» del romanzo di Marai. Per questo le immagini di tifosi nerazzurri distrutti che sabato sera punteggiavano la diretta della finale come piccoli squarci sul dolore privato di una popolazione sportiva sono balsamo per gli avversari: stavolta l'atroce amarezza della delusione non tocca a noi, quanto sembra lontana quella «seconda stella in faccia» eh?
Il sentimento di pericolo scampato poi è potente. L'idea di vedere la tua città tinta dei colori maledetti dei rivali è fisicamente dolorosa, specie nei momenti storici in cui «gli altri» sono più forti. Le scene di giubilo di chi nel tuo universo ideale di tifoso non dovrebbe neanche esistere, sono insopportabili come un'occupazione straniera e barbara. Aver evitato i loro caroselli, i drappi di quei colori funerei appesi ai balconi, le dichiarazioni tronfie dei supporter vip (quelli che per trent'anni «no ma io non seguo il calcio moderno, ero interista da ragazzo perché Zenga era un ragazzo di viale Ungheria»), è quanto di meglio potesse sognare un avversario quest'anno. È la stagione perfetta anche se i tuoi beniamini fanno pietà e la tua società somiglia a una banda di saltimbanchi senza arte né parte. Rimanere senza niente quando si sognava tutto, farlo con la più pesante umiliazione di sempre in finale. Un naufragio che resterà, una serena estate italiana di prese per i fondelli per chi si auto-definisce bauscia: non si poteva chiedere di meglio.
In una scena di «Hannibal», Mason Verger usa le lacrime altrui come guarnizione per il suo Martini cocktail. Sapere che ne sono state versate a vasche, sabato sera, fa venire voglia di un drink a chi l'Inter proprio non la sopporta...
Certo, tutto questo tifo contro è orribile, micragnoso, la summa delle invidie e dei rancori. Ma è sincero e inevitabile e soprattutto è democratico, prima o poi tocca a tutti.
E finché resta nello sfottò senza trascendere, è anche il motivo per cui il calcio innerva le nostre vite così a fondo. Fino alla prossima finale, fino al prossimo giro di ruota, fino ad altri occhi che si riempiono di lacrime e bicchieri di Martini che tintinnano per la gioia oscura dell'onnipotente tifo contro.