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Segna sempre Beppe-gol: Signori, il biancoceleste e quel sinistro vintage

Gli anni ruggenti in biancoceleste, la lite con Sacchi e quel modo di calciare in diagonale andato ormai quasi in archivio

Signori mentre sta per calciare
Signori mentre sta per calciare

Esterno giorno, Foggia. Quel tizio dall’aria perennemente perplessa corrode la linea laterale contemplando il ragazzino che svapora nel suo tridente. Pare eccessivamene minuto per riuscire a sfondare nel calcio che luccica, ma è rapido nello stretto e quando arma il mancino fa sanguinare. Trotterella verso di lui, una nuvola di scompigliati capelli biondi, per chiedergli di invertirsi con Rambaudi. Niente da fare. Il boemo scuote impassibile il capo, indicandogli di mantenere la barra dritta. Giuseppe Signori detto Beppe la digerisce a fatica, ma esegue. Ancora non sa che il rigido corrredo tattico zemaniano diventerà la sua sliding door calcistica. Ma quali convergenze? I sinistri stanno a sinistra, i destri a destra. E zero fanfare, che c’è pure da tornare a coprire zolle di campo. Però da ala sulla tua corsia fare gol è più difficile. Tocca inventarsi qualcosa. Tocca fendere l’atmosfera che ti separa dalla porta disegnando traiettorie inedie. Magari incrociando diagonale.

Signori al Foggia
Signori con la maglia del Foggia (Wikipedia)

Mica semplice. Servono talento, potenza e chirurgica precisione. Signori queste cose qui ce le ha tutte premute in quel metro e settanta d’altezza. È un fuscello dinamitardo. Il trucco funziona più o meno così: lo servono, lui sprinta all’improvviso per cucirsi uno spazio, poi scaglia una frustata che si infila sul palo opposto. Facile a dirsi, infinitamente meno a cimentarsi. Nella pratica quelli che ci riescono li conti sulle dita di mezza mano. Un altro con la tessera del club, per dire, si chiama Gabriel Omar Batistuta. Lui si diverte un mucchio a crivellare da destra, ma il concetto è quello.

La prima stagione biancoceleste

Quando passa alla Lazio, nell’estate del 1992, non ha comunque le stimmate del cavallo di razza. La permanenza alla corte di Zdenek ha generato 38 gol in 100 partite, tra serie A e B. Bene, certo, ma i bomber sono un’altra faccenda. Zoff però gli tratteggia intorno un congegno deflagrante. Deve sostituire Ruben Sosa, passato all’Inter, e la questione pare tutt’altro che agile. Quello è un indemoniato avvezzo a tirar giù le porte, ma tra i due esistono assonanze. Stesso baricentro basso, medesimo sinistro dilaniante. L’ambiente biancoceleste galleggia nella mestizia, inconsapevole di avere appena ingaggiato un nuovo vate. E poi c’è sempre la regola dei tre stranieri a rimescolare un destino altrimenti più ripido.

Perché Beppe dovrebbe teoricamente giostrare al fianco di Riedle. Solo che poi ci sono anche Winter, Gazza e Thomas Doll. Il primo è un intoccabile e, spesso, va a finire che proprio lui scende in campo con la maglia numero nove, quella che dovrebbe indossare il centravanti. E chi presidia quella porzione di campo, dunque? Facile, Beppe. Che adesso non è quindi più ala, ma punta vera. Una trasmutazione pallonara destinata a produrre ricadute prolifiche. E poi Signori non ha mica paura. Sapete, è un uomo di fede. Uno di quegli che credono in un disegno superiore. Come quando, un anno prima, è andato dritto a schiantarsi sulla San Severo Apricena. Un botto assurdo, dal quale è uscito miracolosamente illeso. Forse è per via di quella canottiera che mamma ha fatto benedire direttamente da Padre Pio. Magari è soltanto fortuna sguaiata. Ma al santo, Beppe, resterà legato per sempre.

Lui comunque ha troppo da fare sul campo per rifletterci. Il suo primo giorno in ufficio – l’angusta area di rigore altrui – timbra in orario: doppietta alla Samp. Poi buca Fiorentina e Cagliari. Riprende fiato un istante e ne rifila tre al Parma. L’Olimpico ha già un nuovo padrone. La curva nord sussulta ogni volta che prende palla al limite. L’intero stadio freme e in fondo se ci pensi è bellissimo, perché quando carica il sinistro rivivi ogni volta quella stordente sensazione dell'attesa che viene prima di qualcosa che desideri davvero. Signori che affonda la gamba destra nel terreno e lascia il braccio sinistro a sventolare fin dietro la schiena, Signori che si coordina insomma, è l’ultima curva prima del mare, l’istante elettrico tra due labbra troppo vicine, la telefonata che aspettavi e molte altre cose ancora, di quel lungo campionario che borseggia il respiro.

A fine stagione ha eroso il nastro di Novantesimo minuto a forza di comparsate. Segna 26 volte in 32 partite. Capocannoniere della Serie A, grazie a quel modo di concludere che magari noi – abituati a quegli esterni invertiti – catalogheremmo come vinile del calcio. Beppe alza il giro dei battiti anche quando va sul dischetto: colpisce praticamente da fermo, aprendo il piatto a spiazzare oppure incrociando di potenza, come quando sibila sul vertice sinistro dell’area. Non è tutto: sa essere letale anche su punizione. Con lui a svariare là davanti, antesignano involontario del falso nueve, la Lazio arriva quinta in campionato.

Signori alla Lazio

Seconda con la Lazio, ancora capocannoniere

La stagione seguente inizia con le peggiori premesse. I biancocelesti che vengono sbattuti fuori dalla coppa Italia con ignominia, dall’Avellino. La squadra che non ingrana in campionato, i sostenitori più debordanti in comitiva flagellante sulle auto dei giocatori. Signori è arginato da un infortunio e la prende male: “Se succede ancora una cosa del genere, potrei andarmene”. Il rapporto con il tifo laziale, del resto, non pare mai sbocciare del tutto. Però quando quel numero 11 torna a fluttuare per il campo ogni divergenza si appiana. La sua stagione inizia sul serio soltanto all’ottava giornata: gol. Accanto a lui Cragnotti ha piazzato un alieno: Alen Boksic, stazza, talento, coefficiente di occasioni divorate pari all’attuale popolazione mondiale. Tanto a finalizzare ci pensa Beppe gol. In quel 4-4-2 imperioso si spinge forte sulle fasce, Fuser in primis, e le chance si affastellano. Timbra anche nel derby romano, per poi farsi settanta metri di campo esultando sotto la nord. “Mi è sembrato di vedere Signori”, intona la curva, immersa in un idillio ricomposto. Quella Lazio scalerà un altro gradino: quarta a fine stagione. E lui, che aveva iniziato zoppo, finisce di nuovo sul trono dei cannonieri, con 23 centri. Contro l’Atalanta, addirittura, ne segna tre tutti su punizione.

La lite con Sacchi al Mondiale

Abbastanza per ricevere la chiamata di Sacchi per la spedizione mondiale di Usa ’94, anche se il ct resta perplesso dalla convivenza tattica con Roberto Baggio. Gioca subito nel balbettante esordio contro l’Eire: Arrigo cambia idea dopo 45’, fa entrare Massaro e lo dirotta in fascia. Depotenziato e avvilito, troppo lontano dalla porta per fare quello che gli riesce meglio, Beppe si incupisce. Resta comunque decisivo contro la Norvegia e pure nel match con la Spagna, fabbricando assist vitali. Alla vigilia della finale il divin Codino è malandato e Arrigo avvicina Signori: “Senti, hai grosse chance di giocare te con Massaro”. Poi invece cambia idea e forza l’ingresso di Roby. Beppe la prende malissimo e rompe apertamente col ct. “Tornassi indietro – ha dichiarato anni dopo – avrei chiesto di giocare a centrocampo. Magari potevo segnare uno dei rigori”.

Signori e Baggio, Mondiali 1994

1994: Beppe ritrova il boemo

Nell’estate del 1994 sulla panchina biancoceleste si appollaia un vecchio flirt di Signori: Zdenek Zeman. La sua si preannuncia una Lazio effervescente, uno di quei consueti innesti di botanica calcistica che vivono lo sbilanciamento come mantra irrinunciabile. Può farne sette ad ogni partita. Può incassarne altrettanti. Verrebbe da pensare che abitare in questa formazione arrembante sia una manna celeste per chi gravita davanti, ma il boemo ama trovare il gol con tutti i frombolieri del suo fronte offensivo. E poi è arrivato Rambaudi, che erode ulteriore palcoscenico. Ci sono quindi Casiraghi e Boksic. Così il bottino realizzativo viene diluito e redistribuito. A fine stagione sono “soltanto” 17 per Beppe gol. Fa spallucce, ma qualcosa comincia ad incrinarsi.

Signori e la Lazio: The last dance

È un addio lungo, trascinato, quello con la Lazio. Nella stagione successiva le reti continuano a calare, seppure in modo impercettibile. Saranno 15 in trentadue apparizioni. L’incipit è una bomba che deflagra sulla stampa: “Signori al Parma per 25 miliardi di lire”. Tutto fatto, dicono. Lui, dal ririro americano, fa sapere che vuole restare alla Lazio. Cragnotti replica che l’offerta dell’amico Tanzi è di quelle che non si possono rifiutare. Sorge una rivolta popolare. Avvolta da un clima tesissimo, infarcito di minacce quotidiane, la società prima tentenna, poi molla la presa. Signori resta.

Questa sarà ancora casa sua fino al 1997. L’avvento di Eriksson, che porta in dote il pupillo Mancini, scompiglia ulteriormente il mazzo. Con il tecnico svedese il rapporto non ingrana mai. Se ne andrà alla Samp con un carico di amarezza a gravare sul cuore.

Ma se lo pensi ancora oggi, facendo il vuoto intorno, non ti riesce immaginarlo con nessun’altra maglia.

Beppe Signori al Bologna

Beppe Signori, esultanza

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