Calcio

"In quell’abbraccio c’era tutto": L'ultimo omaggio di Mancini all'amico Vialli

Il Ct della Nazionale si confessa dopo la scomparsa di Vialli: "Luca è vicino a me, a noi, sono convinto che sia così anche per Sinisa: lo spero e lo sento"

"In quell’abbraccio c’era tutto": L'ultimo omaggio di Mancini all'amico Vialli

Sono giorni di grande dolore per Roberto Mancini. La scomparsa di Gianluca Vialli, arrivata dopo la perdita di un altro grande amico come Sinisa Mihajlovic, rappresenta davvero un brutto colpo per il Ct della Nazionale italiana. "Luca è vicino a me, a noi, sono convinto che sia così anche per Sinisa: lo spero e lo sento" spiega Mancini in una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui si confessa sul rapporto con l'amico Gianluca. I due sono stati e resteranno per sempre i "Gemelli del gol", una delle coppie più straordinarie nella storia del calcio italiano.

Insieme in Nazionale

Dalla Samp alla Nazionale, l'intesa tra Mancini e Vialli è sempre stata totale. Il Ct ci tiene però a chiarire una cosa: "Non l’ho chiamato io in Nazionale. Nominarlo capo delegazione è stata una felicissima intuizione di Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio: quando mi ha chiesto cosa ne pensassi del coinvolgimento di Luca, naturalmente gli ho detto di sì, il presidente ed io sapevamo quanto sarebbe stato importante per la Nazionale: il merito è di Gravina".

Il ruolo di Vialli in casa azzurra è stato fondamentale: "Conosceva il calcio, il nostro mondo. Era un capodelegazione atipico, rappresentava il presidente Gravina e la Federazione presso la squadra, ma la sua interpretazione del ruolo è andata oltre. Stava vicino al gruppo, parlava con i giocatori, sapeva quando e come intervenire. La sua leadership era spontanea, la nostra intesa era apprezzata, sapeva trasmettere ai più giovani i valori della Nazionale".

Ma soprattutto il suo attaccamento ai valori della Nazionale: "Luca credeva nella maglia azzurra, nell’importanza di quei colori: anche sdrammatizzando sapeva cogliere e, a sua volta, trasmettere il senso di appartenenza alla squadra. Ecco perché dico che era un capodelegazione atipico, ma fondamentale. Quando capiva che un giocatore aveva bisogno di motivazioni, trovava la parola giusta e il giocatore ne percepiva il carisma. Vialli era davvero carismatico".

Un'amicizia più forte di tutto

Un rapporto nato nella stagione '84 quando i due si ritrovarono insieme con la maglia della Sampdoria. "Forte perché è nata quando eravamo giovani, a 18 anni, in un ambiente e una squadra eccezionale, la Samp, guidata da un presidente fantastico come Paolo Mantovani: l’atmosfera di unione, di leggerezza, ci legava: Luca ed io eravamo sempre insieme, ci siamo divertiti" spiega Mancini.

Da allora il legame non si è più spezzato: "Eravamo ragazzi esuberanti, condividevamo un’infinita passione per il calcio: il bello è che quando le nostre strade si sono divise, lui prima alla Juve e poi io alla Lazio, affetto e amicizia sono rimaste. Per sempre".

L'abbraccio all’Europeo che ha fatto il giro del mondo è la sintesi della loro amicizia:"In quell’abbraccio c’è tutto: la gioia, i nostri sentimenti, il momento difficile che stava vivendo Luca, la sua lotta contro la malattia, la conquista dell’Europeo a Londra, casa sua: vincere lì per lui è stato importante".

Il litigio (l'unico) in campo

"I Gemelli del gol" hanno litigato soltanto una volta. I dettagli sull'episodio sono stati raccontanti a Libero dal Ct."Per una stupidaggine accadde questo. Durante un allenamento, Luca, anziché chiamarmi Roby, come sempre, mi chiamò Mancini, e allora io gli dissi irritato: 'Scusa ma perché mi chiami Mancini?'. C'è stata una discussione e ricordo che non ci siamo parlati per un po' di giorni, cinque o sei se non sbaglio". La pace arrivò pochi giorni dopo. "Ci fu un raduno della Nazionale e chiaramente in Nazionale si è tutti amici, non sono ammesse tensioni e ricordo che ci fecero far pace subito. È stata l'unica volta, l'unica litigata di tutta la nostra vita".

Così diversi così uniti

Mancini faceva assist, Vialli segnava gol. I due formavano una coppia d'attacco perfetta e complementare proprio per le differenti caratteristiche. Le differenze erano anche caratteriali come spesso capita tra due fratelli. "Io ero veramente il suo opposto caratterialmente. Ero molto impulsivo. Lui aveva capito questa cosa e cercava di tenermi più calmo. Per questo c'è sempre stato. E lo ha fatto con l'affetto, con quell'amore che si crea tra fratelli. Per me è stato un punto di riferimento fondamentale" spiega Mancini a Libero.

Gli ultimi giorni

"Ha sempre lottato ma negli ultimi giorni era un uomo stanco, sfinito, anche se nei momenti di lucidità reagiva, tornava ad essere lui, Luca, col suo sorriso. Ci siamo sempre voluti bene, mi mancherà, mancherà a tutti, ma sento che è vicino a noi, prego e spero che sia così, ne sono davvero convinto" confessa il Ct, che ha sperato fino all’ultimo che ce la facesse:"Ci abbiamo sperato tutti, non solo io, confidando che ci potesse essere una svolta. Poi, lui è stato forte…".

Fino alla fine: "Ha lottato, con coraggio. I medici curanti non erano certo felici dei suoi spostamenti, dei suoi blitz in Italia in nome dell’amicizia, ma lo faceva perché questi momenti conviviali, questa voglia di vederci e di stare insieme, gli davano gioia. Anche se gli causavano grande fatica.

Luca è sempre stato un guerriero, certo che vederlo così sofferente è stata una prova durissima per tutti noi che gli abbiamo voluto bene".

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