
Quarant'anni fa, oggi, si andava a Verona mica per Romeo e Giulietta. C'era l'Hellas che giocava un football di forma e sostanza, c'erano la zazzera e il naso, da cui «Zaso», di Osvaldo Bagnoli, c'erano il sorriso gentile di Emiliano Mascetti e la sfilata di un gruppo di ragazzi veri, forti e furbi che riuscirono a battere Maradona e Platini. Bastava l'ombra gigantesca di Hans Pieter Briegel per capire di che razza fosse quella squadra. Con lui, Praeben Elkjaer, un cavallo pazzo, potenza e prepotenza, voglia di vivere, la casa sulla collina, un tot di bottiglie di Amarone e sigarette a riempire giornate di ozio. Quando giocava con il Colonia, l'allenatore Hennes Weisweiler lo mise fuori squadra perché, disse, Praeben era stato intercettato con una donna e una bottiglia di whisky. Elkjaer smentì pubblicamente: «Non ha detto la verità, ero con due donne e una bottiglia di vodka». Bei tempi, un passato remoto rivissuto nella nostalgia. Durante quell'estate di euforia, Bagnoli Schopenhauer (Gianni Brera così lo battezzò) si presentò all'hotel Gallia di Milano dove era in corso il calciomercato.
Scese dalla bicicletta, la appoggiò al muro, indossava pantaloni con la molletta sotto il polpaccio, scorse il vespaio di giornalisti, rimontò in sella e tornò a pedalare verso il ponte della Ghisolfa. Era Zaso, il vero campione d'Italia.